Sul sito Treccani.it ho letto un’interessante recensione [1] di un libro in cui l’autore propone di rendere facoltativo a scuola l’insegnamento della letteratura: a suo parere, infatti, l’attuale prassi didattica trasformerebbe gli alunni in futuri non-lettori. Il recensore dichiara di concordare con l’autore per quanto riguarda la diagnosi del male, ma afferma anche che l’insegnamento scolastico ha obblighi e regole cui non può derogare.
Sia l’autore che il recensore hanno le loro buone ragioni. Prendendo spunto da queste, mi permetto di fare alcune riflessioni.
La prima può sembrare banale. Le opere letterarie lette e studiate a scuola sono, salvo rare eccezioni, testi scritti da adulti per adulti. Se hanno un intento pedagogico, questo non è rivolto, in modo diretto, ai giovani. D’altra parte, questi testi non hanno come scopo solo la piacevolezza della loro lettura, vogliono comunicare una visione del mondo e della vita. E’ necessario dunque che i loro contenuti siano mediati per essere fruibili ai giovani.
Le discipline scientifiche vengono apprese solo dai manuali, ossia testi appositamente preparati per gli studenti. La lettura degli scritti originali degli scienziati sarebbe inutile, oltre che in certi casi impraticabile. Anche i testi letterari non di rado presentano difficoltà, ma in questo caso la lettura diretta è indispensabile. La lirica leopardiana esprime una visione pessimista del mondo, ma la purezza e il nitore, la chiarezza e la semplicità, dell’espressione, frutto di un paziente labor limae, sono elementi fondamentali e peculiari della poesia del Leopardi, anche perché svolgono già un ruolo liberatorio dall’affanno dell’esistenza e riscattano in parte il pessimismo, come accadrà poi nella Ginestra. I valori estetici, necessari per la comprensione di un’opera letteraria, non possono essere colti che con il contatto diretto con il testo. (Anche alcuni scienziati, ad esempio i matematici, sono attenti ai valori estetici dei loro lavori, ma questi generalmente vengono considerati non essenziali).
In un’opera letteraria, dunque, il significante, ossia il mezzo e le modalità con cui viene espresso il significato, ha un’importanza rilevante. Da qualche tempo a scuola si è diffuso un approccio ai testi che mira a studiarne la struttura formale, ossia a mettere in evidenza i loro elementi di base e come sono organizzati, le caratteristiche che permettono loro di essere classificati nel tipo ‘testo letterario’: ad esempio, è tipico del linguaggio letterario l’uso frequente delle figure retoriche, come la metafora. [2] Ma questo approccio sembra che sia stato spinto troppo avanti: da qui l’accusa dello scrittore Davide Rondoni di voler erroneamente “fare dei ragazzi degli esperti”, indirizzandone attenzione verso gli aspetti ‘tecnici’ dei testi, anziché dei lettori sensibili al messaggio e di non sollecitare in loro il gusto ed il piacere della pagina scritta. D’altra parte, leggere o non leggere, cosa e come leggere, dovrebbe essere una scelta, un atto di libertà.
L’accusa di Rondoni è fondata. Su questo concorda anche il recensore, Prof. Roberto Carnero, il quale tuttavia fa giustamente notare che “la scuola non è e non può essere il regno della libertà indiscriminata”. Il piacere di apprendere, l’amore verso le materie di studio, sono mete che l’insegnamento scolastico si propone, ma, sottolinea, Carnero, ci sono anche compiti ed obblighi da adempiere ed assolvere. E’ la scuola, infatti, che deve svolgere elettivamente l’ufficio di mediare fra i testi ed i giovani. Mi sembra giusto il richiamo di Carnero all’utilità di una storia letteraria, che però sia agile, non appesantita da troppi collegamenti interdisciplinari: le idee nascono, si sviluppano, si estinguono in determinati contesti, stanno fra loro in rapporti di filiazione, di contrapposizione, di dialettica. La lettura dei testi deve essere sia un momento di verifica di quanto si è appreso in sede di ricostruzione storica, sia di esplorazione. I testi e le interpretazioni possono essere tratti dalla tradizione scolastica e critica, ma nulla vieta che si possano avanzare, da parte degli insegnanti e degli studenti, proposte di nuove letture e di nuove esegesi, adeguatamente argomentate; quel che si dovrebbe evitare è il ‘nuovismo’ ad ogni costo. Questa modalità di studio può essere anche piacevole e non appare meno ‘scientifica’ dell’analisi testuale ispirata allo strutturalismo. A questo riguardo, lo studio formale della struttura dei testi, che, come si è detto, ha la sua importanza, trova il suo giusto impiego nell’essere funzionale alla comprensione complessiva del testo e non deve precipitare in un esercizio fine a se stesso. Un limite ad un certo artificio, una terminologia meno complessa, sarebbero opportuni. Non è necessario, ad esempio, sezionare un testo alla ricerca, che rischia di essere arbitraria, di ‘parole chiave’; sapere che ‘salivi’ è l’anagramma di ‘Silvia’ [3] e che, dunque, il nome della fanciulla vagheggiata dal poeta apre e chiude la prima strofe della poesia leopardiana, può essere interessante, ma non aggiunge nulla per la comprensione del significato umano ed estetico di quel testo. Uno studio fruttuoso della letteratura deve, dunque, riguardare diversi aspetti: cosa hanno pensato, cosa hanno sentito gli uomini nel corso della loro storia, come alcuni di essi sono stati capaci di farlo in modo peculiare e come hanno espresso tutto ciò in modo particolarmente efficace? Il compito è quello di mirare ad un equilibrio fra questi diversi aspetti: una didattica concreta ed essenziale non può fare a meno del detto oraziano: “Est modus in rebus”.
Salvatore Daniele
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