Docenti demotivati

I docenti italiani sono demotivati, disaffezionati al loro lavoro, che è essenzialmente un’attività di relazione, al punto da volere cambiare continuamente sede in cerca di una sistemazione in un ambiente lavorativo migliore, pregiudicando così l’iter formativo degli allievi, cui viene negata la necessaria continuità didattica. Questo è quanto emerge da una ricerca effettuata per conto della Banca d’Italia (non Bankitalia) di cui da notizia ‘La Sicilia’ , 14/07/08. Verrebbe da dire: “Davvero? Ci sarebbe da stupirsi se così non fosse!” Mi piacerebbe conoscere il grado di motivazione, per esempio, degli avvocati o dei periti chimici, è certo comunque che mai una professione è stata così sotto attacco, come oggi quella degli insegnanti. Naturalmente do per scontato la presenza di casi individuali, meno o più numerosi, di insufficiente preparazione e scarso rendimento, ignoranza e pigrizia addirittura; tuttavia non trovo giusto giudicare e condannare un’intera categoria professionale di cui d’altra parte non è raro trovare esponenti d’eccellenza.
Ma cosa succede agli insegnanti, perché sono demotivati? (Anche se poi la maggioranza di essi continua a svolgere con impegno e passione il proprio lavoro) Tralascio volutamente i fattori esterni come, ad esempio, il peso crescente degli adempimenti burocratici (da fare impallidire la cancelleria di Bisanzio prima dell’inevitabile arrivo dei Turchi) il numero e la durata delle riunioni (non sempre indispensabili) perché quello che mi sembra davvero grave è la svalutazione interna della figura e della funzione dell’insegnante. Si intrecciano a mio parere due questioni. Il docente è colui che trasmette alle nuove generazioni il sapere acquisito, la cultura di una comunità. Il sapere, la cultura, sono costituiti da una struttura più o meno organizzata di contenuti, nozioni e concetti, in vista di certi obiettivi. Lo studio, ad esempio, della Costituzione italiana fa conoscere i principi e la struttura della nostra Repubblica, con lo scopo futuro della convivenza civile e democratica nel nostro Paese. Ebbene, in questi ultimi tempi, l’accento è stato posto più sui metodi di trasmissione di questi contenuti e sugli obiettivi finali da conseguire, piuttosto che sui contenuti stessi. Gli insegnanti, per così dire, sono stati espropriati da altre figure, gli psicologi e i pedagogisti, di parte del loro terreno e si è preteso di insegnare loro… ad insegnare. Naturalmente questa pretesa, lontana dalla faticosa pratica quotidiana dell’insegnamento, ha prodotto molta teoria astratta, un linguaggio sofisticato e ridondante, e poco altro: un metodologismo, insomma, talvolta addirittura esasperato (proprio quando l’epistemologia contemporanea proclamava l’inutilità dei vari metodi proposti nella scienza). Con tutto ciò si interseca la seconda questione. Da più parti si sostiene che questa è l’epoca del fare, dell’esecuzione rapida ed efficace, senza perdere tanto tempo a pensare, a parlare, a progettare. In omaggio a questa ideologia, tutto un insieme di elementi teorici e fondamentali del sapere è dichiarato ‘obsoleto’ (che brutta parola!) e si richiede che gli allievi vengano formati in vista del fare, offrendo loro un fornito, vario set di conoscenze pragmatiche, le competenze. (Aristotele era già del parere che alla competenza pratica bisognava aggiungere la conoscenza teorica per conseguire un sapere autentico)
In italiano, ad esempio, gli allievi dovrebbero comprendere pragmaticamente i testi, padroneggiando ‘campi semantici’, modi e stili diversi di comunicazione, scrivere elaborati brevi o lunghi e di vario tipo, il tutto con più attenzione alla forma che al contenuto; in geografia non è importante sapere se ‘Po’ è un fiume o una città, quanto parlare con competenza di paesaggio, territorio, spazialità; in storia cosa ha fatto Garibaldi è secondario rispetto allo studio della percezione della temporalità. Così gli insegnanti rischiano di diventare i metodologi del nulla, indotti ad applicare metodi astratti su contenuti vani, in vista di obiettivi vaghi. C’è da stupirsi, allora, se gli insegnanti sono demotivati? Ma che fare? Naturalmente e fortunatamente non pochi docenti continuano in pratica ad insegnare italiano e storia, matematica e fisica, alla vecchia sana maniera, con ottimi risultati. Tuttavia sarebbe opportuno un ripensamento ideologico. Al centro del processo di formazione ed apprendimento non sta né l’allievo, come da più parti si sostiene, né il docente. Il primato spetta al sapere, alla materia di studio, rispetto alla quale esiste però una asimmetria tra chi già sa e chi dovrà sapere, ma intanto deve imparare. Se non si riconosce questa asimmetria, proclamando che il metodo è tutto e che in fondo conta solo il fare, allora l’istituzione scuola facilmente andrà in frantumi.

Salvatore Daniele

  4 comments for “Docenti demotivati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.