Ivan Magrì
“PAVAROTTI MI DISSE: TU SEI IL MIO EDGARDO”
di PAOLO ZOPPI
Ivan Magrì è stato Edoardo in Un giorno di regno che ha inaugurato la stagione lirica invernale al Regio. Come già detto più volte, l’opera non è “verdiana” come si intende abitualmente la produzione del Maestro delle Roncole e anche l’orecchio non è abituato a questo tipo di musica, forse a torto ma non troppo, accusata di essere rossiniana, donizettiana, fuorché verdiana. Il tenore, Edoardo appunto, ha una tessitura vocale impervia, con note acute insolite in Verdi, un paio di Do soprarigo e diversi Si naturali e bemolli che ne fanno una partitura decisamente difficoltosa.
Anche Magrì, come tantissimi suoi illustri predecessori, non è sfuggito alla dura legge del Loggione e alla minima imperfezione o presunta tale, un leggero, ma comunque percettibile mugugno, ha scosso la sera della “prima”. L’occasione è troppo ghiotta per non chiedere all’interessato che cosa sia accaduto.
I capelli biondi lisci e lunghi e un fisico non proprio palestrato ne fanno il perfetto amante romantico ottocentesco, tanto che il Maestro Pizzi, acclamato regista dell’opera, si è raccomandato di non mettere nessuna parrucca, essendo già così più che nella parte.
“Ivan che cosa è successo?”, gli domando. “Se ti dicessi che è scritta così?”, risponde. “Certo, non tutte le sere sono uguali, a volte si canta bene a volte un po’ meno, però quel passaggio che ha suscitato quel brusio era scritto così, tanto che ieri pomeriggio (seconda recita) d’accordo con il Maestro Renzetti, abbiamo modificato leggermente la cadenza con l’appoggiatura sul La e tutto è filato liscio, forse perché la melodia era più lineare”.
“Come hai giudicato il pubblico di Parma anche alla luce di questa esperienza?”. “Benissimo, perché questo dimostra competenza, ma soprattutto grande passione e amore per il canto. Quello che posso dire è che si tratta di un’opera fuori dagli schemi verdiani e quindi anche l’orecchio più attento non è abituato a questo tipo di musica riferita a Verdi”.
“Per te era tutto un debutto?”, gli chiedo ancora.
“Sì, era un debutto sia nell’opera sia a Parma. Un giorno di regno non entra facilmente nel repertorio, non l’avevo mai cantata e devo dire che è stata una piacevole scoperta, perché ha degli spunti veramente interessanti e poi il debutto in un’opera di Verdi a Parma credo che sia il massimo per un cantante, sono veramente felice”.
“Il personaggio di Edoardo com’è?”. “Ha questa doppia personalità, perché dapprima sembra uno spirito valoroso, audace quando si vuol fare scudiero e poi si rivela più debole quando non sa se mantenere fede alla sua promessa verso il re o verso la sua amata”. “Hai detto che ci sono spunti interessanti?” “Si, certamente da un punto di vista musicale risente dei suoi predecessori, ma è una tappa importante per il suo sviluppo e poi si sentono degli accenni che si ritroveranno nelle opere successive”.
“Quindi ti ritieni soddisfatto?”.
“Certamente si!”.
Siciliano purosangue di Catania, ha da poco oltrepassato la trentina, l’età giusta per affrontare il grande pubblico, che in verità lo ha già applaudito in diversi spettacoli importanti. “Il debutto? ”. “Quello che ritengo il vero debutto importante è stato Edmondo in Manon Lescaut nel 2008 col Maestro Oren al Carlo Felice di Genova, poi Edgardo di Lucia a Bologna e Arturo nei Puritani sempre a Bologna nella passata stagione, diversi Elisir d’amore e Marin Faliero al Festival Donizetti di Bergamo e a Sassari, un’opera veramente molto ardua, poi ancora il Duca di Mantova a Bologna e a Como”.
“Il personaggio che ami di più?” “Certamente Il Duca di Mantova ha un suo fascino irresistibile, ma anche Nemorino (L’elisir d’amore) mi piace molto, dandogli però una personalità più romantica e intensa che non quella del sempliciotto come si vede spesso”.
“Hai qualche ricordo particolare della tua carriera?”, gli chiedo.
“Dopo essermi diplomato in canto al “Verdi” di Milano ho studiato col grande Pavarotti che mi ripeteva spesso «Tu sei il mio Edgardo» e dal quale ho imparato tanto, non solo da un punto di vista musicale e interpretativo, ma soprattutto come uomo. Era veramente innamorato del suo lavoro, del canto, dell’opera, pensa” prosegue con un velo di commozione “fino all’ultimo desiderava allestire un Elisir d’amore, l’opera che amava più di tutte e mi voleva a tutti i costi come Nemorino.
Studiavo praticamente nella sua camera, lui era a letto già abbastanza grave e io cantavo accompagnato dal pianista, in agosto mi sono dovuto recare a Catania e lui mi disse: «Ciccio, torna presto» quasi presago della fine che purtroppo arrivò il 6 settembre. È stata un’emozione e un ricordo che non dimenticherò mai”.
(font: PramzanBlog – Paolo Zoppi, 01 febbraio 2010)
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