Sabato 13 Dicembre 2008, all’interno dei thè culturali dell’Associazione Culturale Onlus “La Cornucopia”, abbiamo vissuto un pomeriggio denso di pathos intellettuale, grazie all’ottima performance di Claudio Mazzenga, regista e attore romano, che ha saputo infondere un tocco di profonda professionalità e di irresistibile ammirazione, da parte dei presenti, per l’intensa tonalità interpretativa infusa nella lettura della trilogia di Pier Paolo Pasolini, traduttore e “rivisitatore” impareggiabile dell’Orestiade (od Orestea), comprendente l’Agamennone, le Coefore e le Eumenidi.
La storia di Agamennone e Clitemnestra, sua moglie, di Oreste ed Elettra, si snodava nel silenzio religioso della sala predisposta da Urna a Viagrande con crescente partecipazione emotiva, nel rispetto, tra l’altro, della tradizione greca, incline a trasfondere, attraverso la recitazione, sentimenti e dolori crescenti degli uomini e degli eroi, trasmessi dagli attori ad un pubblico attento e capace, con un alternarsi senza sosta di momenti dilatati dall’emozione e comunque ricomposti nelle vicende reali, in osservanza ai propositi già composti degli Dei che, sempre o quasi, tessono le fila dei destini umani a volte travolti dalle imprevedibilità, se non dai capricci, delle decisioni divine. Così gli uomini, e con essi gli stessi eroi, sciolgono nella poesia possente le speranze e le preghiere, sempre protesi alla ricerca, ed all’attesa, di segni e cammini possibili, pur nelle contrapposte vicende della storia.
Claudio Mazzenga, coinvolgente fusione di anima e di voce, ci ha portati nei tempi dovuti, riuscendo a trasmette la “visione” dei luoghi della tragedia che diventa dramma nel ritmico susseguirsi delle immagini, dei toni e delle preghiere, secondo lo schema più antico della “rappresentazione”.
In questo, il regista romano è stato coadiuvato dalla brava e preparata Dora Marchese, assegnista di ricerca presso la facoltà di lettere dell’università di Catania, la quale ha saputo calarsi nella parte recitativa con sapiente maestria, senza nulla concedere alla incertezza o pausa fonetica ma, anzi, riuscendo a costruire l’immagine ambivalente, ma immutabilmente umana, di Clitemnestra.
E cosi la recitazione diventa poesia quasi cantata, rendendo in modo subliminale il senso della “mimesi” attraverso la stimolazione di alterne emozioni, di attese coartate, di visioni dolenti; sopra tutto, la “parola”, questo formidabile strumento che, se usato con la giusta fonemica ed espressiva, arriva diritta al cuore degli spettatori, in un processo interattivo efficace e produttivo, inglobando vissuti ambivalenti e sentimenti ribelli, ma trasmettendo sensazioni uniche e fuori dai canoni comunicativi comuni.
E’ l’arte che si fa “carne”, è la storia che si fa religione, ovvero quella forza perenne che “unisce” gli uomini nella impercettibile condivisione di esperienze e conoscenze, di affetti e delusioni, di bisogno di appartenenza e intolleranza alle ingiustizie.
E’, nel senso classico della tragedia, la “CATARSI” che il proscenio concede, ovvero la dovuta “purgazione” dagli elementi negativi che porta agli uomini quel “fiume nero” (per dirla con D’Annunzio) che scorrendo dentro di noi (in contrapposizione al “fiume chiaro“) impedisce di essere i veri artefici del nostro destino, comunque sempre soggetti alle manovre degli Dei e per ciò stesso destinati a sopportare le miserie e le sconfitte più inaspettate.
Ma Eschilo, (e dopo gli altri autori, da Sofocle ad Euripide e così via) lasciano pur sempre un margine di rivalsa e ricomposizione: la tragedia non è sempre indicatore di sventure fino alla fine: dietro e presente c’è il deus ex machina che corre in nostro aiuto, proprio per conciliare gli uomini agli Dei e permettere una costruttiva possibilità di riacquisizione della propria dignità.
Pasolini riesce a evidenziare i più profondi risvolti di una umanità travagliata e non sempre chiaramente espressa, dando, in un certo senso, un tocco di modernità ai conflitti, almeno nella loro difficoltà espressiva.
E questo viene reso ancora più intuibile dalla voce e dal timbro di Claudio Mazzenga, accompagnato, nel gioco costantemente ondivago dei toni e delle pause, dalla chitarra classica del maestro Danilo Genovese.
Un aiuto valido lo ha trovato nei tre giovani attori dell’accademia teatrale da lui diretta, Rino Rapisarda, Angelo Villari e Federico Seria, che hanno saputo aggiungere nuova e diversa linfa ai dialoghi, sempre comunque ben orchestrati.
Insomma un pomeriggio di “vera” cultura sottolineato dagli interventi e dalle approvazioni del pubblico sicuramente contento per aver ricevuto una lezione magnifica di letteratura mai poi così “antica”.
Salvo Di Dio