Lontani da Catania da anni ma sempre fedeli.
PALERMO. C’è un via vai sulla A19 tra Catania, Palermo e ritorno, che manco in via Principe Belmonte, il salottino bene di Palermo, si vedono tante persone fare avanti e indietro. Un via vai di catanesi, ovviamente, gente che lavora a Palermo, ma quando può torna a casa. Non tutti, però, perché ci sono un bel po’ di catanesi che quell’autostrada l’hanno fatta una volta e a Palermo si sono stabiliti per la vita. Ovviamente vale anche il percorso contrario, ma per oggi, nella settimana del derby, proviamo a scovare questi etnei che vivono da queste parti.
Giovani e meno giovani, quelli che, per forza di cose, per i giochi della vita, per gli incroci del destino, sono partiti quando ancora la A19 era solo pia illusione e si tagliava l’Isola attraverso la sofferenza della Statale 121. Elio Paladino aveva 18 anni ed aveva appena finito il Liceo Classico, al Cutelli, quando suo padre, funzionario di banca, portò lui e tutta la famiglia a Palermo.
«Sono passati più di 50 anni – ricorda – a Palermo mi sono laureato, ho cominciato a lavorare, mi sono sposato. Insomma ci vivo a tempo pieno da una vita, bene. Però…».
Ecco il però. Però Elio dice sorridendo: «Mi sento sempre marca Liotru, altro che storie. Anche se torno poco a Catania, tifo per la squadra rossazzurra. Che gioia vederla in serie A. E che bello vedere in diretta tv ogni anno Sant’Agata su Antenna Sicilia».
Il bello è che, ovviamente, Elio il derby da anni se lo gioca più che altro in famiglia e sull’altra curva casalinga c’è Giuseppe, suo nipote. «Ma sì, litighiamo quando vediamo le partite. Lui dice che sono catanese. Ed è vero. Io dico che il Catania è più forte. E mi sembra pure vero. E lui s’arrabbia un po’. Ma giochiamo».
Ma certo, un nonno catanese e un nipote palermitano. Perfettamente integrato Elio, con sua moglie, Nunziella, che arbitra amorevolmente il derby con Giuseppe.
Da vent’anni a Palermo un altro bancario catanese, Pippo Martorana. Per lui, famiglia interamente etnea, integrazione un po’ meno riuscita: «Viviamo a Palermo, ma torniamo a Catania spesso. D’estate, per di più, stiamo al mare a Giardini. Insomma poco Palermo».
Ma il calcio? «Il calcio è solo Catania, in tv per forza di cose. E cerchiamo di non perderne una, soprattutto da quando è in serie A. E’ vero che non vado allo stadio da trent’anni, ma il cuore batte sempre lì, verso Cibali».
Vecchie generazioni, cuori impavidi, duri a smarrire il marchio d’origine a denominazione controllata. Ma anche i più giovani, con un’altra cultura, Catania la portano n’to cori. Prendi Ursula D’Angelo, che fa l’imprenditrice a Palermo da dodici anni, manco da tre giorni. Vive bene, spiega, il suo trasferimento, sta bene a Palermo, ma il Catania è sempre Catania.
«No che non litigo con i palermitani per il calcio, ma discutiamo, questo sì. C’è sempre quello che vuol fare credere che la sua squadra sia più forte, ma per l’onore di Catania mi batto sempre».
Anche perché più uno sta fuori, più si complicano le cose. Così la sorella di Ursula s’è fidanzata con un palermitano, mentre suo fratello, ovviamente, è supertifoso del Catania. A Palermo vive e lavora un’altra catanese, Veronica Verderame, che, però, più che tifare sostiene quasi indifferentemente le due squadre.
Ma si può, chiediamo noi? Ursula risponde secca. «Non è che si debba odiare l’altra squadra, anzi se la Sicilia sta in serie A con tante squadre è certamente un bel risultato per tutti. Però è anche giusto che quando c’è il derby si sia schierati senza confusione e senza incertezze. Io sto con il Catania quando tira aria di scontro diretto».
Integrati sì, ma senza disintegrare, dunque, il proprio marchio. Certo cambiano i tempi. Oggi Ursula e Veronica possono fare un week end alla Cuba, uno dei posti alla moda della notte palermitana, e uno a Catania, nella movida che avanza tra centro storico e squarci di mare tra la Trezza e i faraglioni. Oggi si può fare. Ieri, ricorda Elio, tornare a casa equivaleva ad un’avventura, lungo una strada tutta curve, saliscendi, camion e carretti. Per questo le distanze fisiche erano maggiori e, per lo stesso motivo, si riducevano quelle del cuore. E l’amore per il Catania e per quella maglia era, ogni volta, un’emozione che ti riportava a casa.
(font: La Sicilia – Andrea Lodato, 14 ottobre 2008)