Processo Cenere, condanne definitive

Per la Suprema corte Umberto Scapagnini, Nino Strano, Fabio Fatuzzo, Antonino Nicotra, Filippo Grasso, Ignazio De Mauro e Orazio D’Antoni hanno commesso abuso d’ufficio e reato elettorale. Non andranno in carcere per effetto dell’indulto, ma scatta l’interdizione temporanea dai pubblici uffici. Scapagnini e Strano rischiano di lasciare il Parlamento. Bianco: “Giustizia è fatta”.

Processo Cenere, condanne definitive

CATANIA. Raffica di condanne per Umberto Scapagnini e numerosi ex assessori che hanno amministrato Catania sino al 2008. La terza sezione della Corte di Cassazione ha confermato la sentenza d’Appello del processo Cenere, rigettando i ricorsi presentati da Umberto Scapagnini, Nino Strano, Antonino Nicotra, Filippo Grasso, Ignazio De Mauro, Fabio Fatuzzo e Orazio D’Antoni. Le pene sono: 2 anni e 6 mesi di reclusione per Scapagnini, 2 anni e 2 mesi per gli altri imputati. Confermata anche la condanna a 50 mila euro di risarcimento in favore di Enzo Bianco, avversario dell’ex sindaco nella tornata amministrativa del maggio 2005 costituitosi parte civile nel processo. Le pene sono condonate: nessuno, cioè, andrà in carcere. Ma per tutti e sette i politici scatta l’interdizione temporanea dai pubblici uffici.“Prendiamo atto della sentenza della Cassazione – dice a LivesiciliaCatania il legale di Scapagnini, Guido Ziccone – ma si tratta di faccende che attengono alla città, più che a responsabilità personali”. Per la difesa di Enzo Bianco, rappresentata da Giovanni Grasso, “è la prova di una condotta illecita che finì per penalizzare il candidato del centrosinistra nelle sue chances di vittoria”.

A fare condannare Scapagnini e i suoi assessori sono state due delibere della giunta comunale approvate tre giorni prima delle elezioni che consentirono la riconferma di Umberto Scapagnini a Palazzo degli Elefanti.

Con queste delibere venivano disposti rimborsi per oltre 4 mila dipendenti comunali, con la restituzione dei contributi previdenziali versati all’Inpdap nel corso di un’eruzione dell’Etna durata quarantadue giorni nel 2002. I dipendenti ebbero in busta tra i 300 e i 1300 euro in più, quale risarcimento per i danni causati dalla cenere lavica. Il ministero dell’Economia aveva autorizzato con decreto i rimborsi per 13 Comuni etnei, ma tra i beneficiari mancava proprio Catania.

Per questo l’ente previdenziale dispose la restituzione dei rimborsi già a pochi mesi dal varo della delibera e, a novembre dello stesso anno, la Procura della Repubblica di Catania chiuse le indagini sulla vicenda chiedendo per tutti il rinvio a giudizio.

La condanna in Appello è giunta un anno fa, con la piena conferma della sentenza di primo grado. Inutili furono le richieste del procuratore generale Domenico Platania, favorevole ad una riduzione della pena per insussistenza del reato elettorale. I giudici della seconda sezione penale, presieduta da Michele Ciarcià, scelsero di confermare appieno la sentenza di primo grado. Ora le condanne sono definitive, ma le pene condonate. In pratica nessuno andrà in galera, ma restano le sanzioni accessorie, come l’interdizione dai pubblici uffici per la durata della pena, come conferma a LivesiciliaCatania l’avvocato Sergio Ziccone, legale di Scapagnini. L’ex sindaco di Catania rischia di perdere il posto alla Camera, “ma non è automatico – spiega Ziccone – è necessario il passaggio attraverso la Giunta per le elezioni, i tempi non sono prevedibili“. Situazione analoga per Nino Strano, che occupa un seggio al Senato.

L’inchiesta porta la firma dei Pubblici Ministeri Ignazio Fonzo  e Francesco Puleio e rappresenta, con la condanna confermata in Cassazione, l’unico traguardo raggiunto dalla Procura della Repubblica nei confronti dei colletti bianchi negli ultimi dieci anni.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.