Non c’è molto da fare a Varanni. C’è tanto da osservare o da sfidare. I vecchi seduti sulla panchina di ferro smaltiscono la noia con i discorsi del pettegolezzo paesano che dà soddisfazione e piacere all’immaginazione, né a nulla serve il mio saluto a distrarre le loro narrazioni.
È tutto un andare lento. Lentamente per gustare aspetti di modernità inserite nelle tradizioni di un tempo. E io a guardare gente, chiese, case e vie per sopraffare la lentezza della vita, che non ne vuole sapere di modernità.
C’è qualcuno che come ombra s’aggira furtivo per non scoprirsi: una donna di età incerta e magra. Chi non l’ha vista a Piano Gelsi. Chi vive il paese come me la guarda, la nota, l’ascolta. È talmente malandata che la febbre non la cerca, né osa presentarsi nelle sue vene. I suoi occhi appaiono come caverne buie e misteriose. Raccoglie i mozziconi di sigarette sparsi per le strade, poi a tastarli con il pollice e l’indice e infine riutilizzarli per un’ultima boccata di fumo.
Viagrande rilascia immagini piacevoli di gente diversa in luoghi vari di spettacolarità di colori, ma con la voglia di sbalordire gli orologi dei campanili delle chiese silenziose di San Mauro, protettore di incondizionato amore per il dio che ha voluto un paese cosi bello ma male governato.
È tardi! C’è ancora da vedere per conoscere, un po’ difficile da capire. Tentare di spiegare Viagrande? Difficile.
Il mio malessere è grande… per adesso.
Buon fine settimana a tutti