La flora sicula e l’identità etnea

«Le scienze, la politica, la città»: saggio di Francesca M. Lo Faro sulla botanica a Catania nel Risorgimento.

Il poeta tedesco Wolfgang Goethe nel “Viaggio in Italia” racconta che nella primavera del 1787 a Palermo aveva trovato la pianta originaria, Urplanz, da cui tutte le altre sarebbero derivate. Egli era convinto che in Sicilia, terra di una mai più eguagliata armonia tra uomo e natura, ci fosse la chiave di tutto.
E il suo camino, sulle orme di un immaginario mondo omerico, fu una ricerca delle fonti primigenie della natura e della cultura.
Se tale era l’atteggiamento di un poeta straniero, si capisce l’alta considerazione di sé e della propria isola degli intellettuali siciliani della fine del Settecento e della prima metà dell’Ottocento che si consideravano eredi diretti di una grande tradizione.
La classicità che altri venivano a respirare nell’aria, e tra le rovine greche e romane, loro la vivevano nella quotidianità, vi affondavano le radici. E ciò si può dire avvenisse letteralmente nel caso della curiosità scientifica dei botanici che sceglievano luoghi legati all’antichità per andare a raccogliere esemplari da analizzare e da catalogare.
Allo stesso modo è classica l’architettura dell’edificio dell’Orto botanico di Catania, progettato dall’architetto Mario Di Stefano.
L’ingresso, con due file di colonne ioniche, è concepito come il pronao di un tempio greco, un tempio dedicato alla natura. Un concetto persistente questo del presente che affonda le radici nel passato, tanto che non è un caso se il fondatore dell’Orto botanico, il cassinese Francesco Tornabene (1813-1897) aveva scritto un saggio sulle piante fossili.
La prima pietra dell’Orto botanico nell’odierna via Etnea a Catania fu collocata, alla presenza delle autorità e della fanfara militare, il 31 luglio del 1858, giorno del compleanno della regina. Non ci si dimenticò di ringraziare il re Ferdinando II di Borbone: “Viva il più saggio dei monarchi“.
Francesco Tornabene, professore di botanica all’Università, tenne il discorso inaugurale ricordando il cammino irto di difficoltà che aveva condotto all’agognato traguardo. Egli in realtà aveva ben poco da dirigere visto che aveva a disposizione poche piante e una esigua estensione di terreno sciaroso.
L’Orto botanico, che fondava le radici nel passato borbonico e aveva vissuto della generosità dei privati, acquisterà una fisionomia definita e rilevanza scientifica nei primi anni dell’Italia unita, grazie ai donativi di piante che arriveranno dall’estero e da città italiane, grazie al lascito testamentario del canonico della Collegiata Mario Coltraro e all’acquisto di nuovi terreni limitrofi tra cui quelli degli zii e dei genitori di Giovanni Verga.
In ogni caso la posa della prima pietra fu il coronamento di un’affascinante avventura intellettuale in cui si mescolano scienza e filosofia, medicina e politica, farmacia e piante officinali, illuminismo ed esoterismo. A ricostruire la trama complessa è la storica Francesca M. Lo Faro nel libro “Le scienze, la politica, la città” che ha per sottotitolo “La botanica a Catania in età risorgimentale” ed è edito da Maimone (pp. 277, euro 24).
Un saggio solo apparentemente di storia locale per i suoi intrecci, per la capacità di analizzare la situazione particolare alla luce di un contesto più ampio e avanzato, per l’ariosa circolazione delle idee che non conoscono barriere doganali.
Certo i personaggi spesso non sono di eccelsa levatura e malati di localismo, a volte sono corrispondenti di varie accademie in Italia e all’estero ma in concreto sono considerati poco attendibili nella cerchia più aristocratica della comunità scientifica. E tuttavia anche la scienza e la botanica a Catania contribuiranno a creare quel processo identitario che sfocerà nel Risorgimento.
E allora seguiamo alcuni dei vari fili annodati da Francesca Lo Faro che unisce erudizione e intelligenza dei fatti. Innanzitutto partiamo dal concetto di patria siciliana che si intreccia con l’elaborazione teorica di un genius loci di derivazione egizia o, più concretamente, con i problemi costituzionali, spesso in opposizione al regime borbonico, e si riflette nel primato delle piante locali considerate, soprattutto in medicina, più efficaci di quelle estere ed esotiche.
Ne furono sostenitori il professore di botanica all’università Giuseppe Cosentini, il chimico Carmelo Maravigna, l’abate Giuseppe Ferrara, Gaetano De Gaetani, vice di Tornabene all’Orto botanico. Sostenevano che le erbe locali erano più adatte alla costituzione degli uomini con cui convivono.
Inoltre credevano che un fluido peculiare legasse il vulcano, gli esseri umani e la flora. L’identità siciliana si nutriva letteralmente anche delle specie vegetali e degli effetti dell’Etna.
Un altro aspetto importante è la proliferazione di orti botanici indispensabili per le medicine da vendere in farmacia o per le ricerche scientifiche ma anche luogo di ristoro fisico e spirituale, rifugio segreto in cui coltivare idee sovversive, come nel giardino di Domenico Tempio lettore di Rousseau e Voltaire, o itinerari di un percorso iniziatico.
La botanica e le rivoluzioni, soprattutto quella del 1848, s’intrecciano strettamente. Sicilianista ed indipendentista è il giardino di Vincenzo Cordaro Clarenza che nel segreto del suo orto esalta la patria siciliana. Un viaggio di iniziazione ed ascesi esoterica è il Botanico Mironeiano, probabilmente a Viagrande. Ricchi di piante sono gli orti del barone Pisani Ciancio, o quello di Salvatore Portal a Biancavilla.
Sullo sfondo del libro sono costanti le presenze di Francesco Tornabene e del vulcanologo Carlo Gemmellaro, anche lui sicilianista al punto da scrivere un saggio in cui sosteneva che lo Stretto di Messina un tempo era stato più largo e che quindi mai la Sicilia era stata unita all’Italia. Né mancano le curiosità come il testamento di Mario Coltraro che, avendo accumulato un patrimonio considerevole, ne lascia una parte all’Orto botanico programmando anno per anno le spese e i lavori da finanziare, imponendo che ci si dedichi alle piante della patria vegetale sicula. La coltivazione delle erbe s’intreccia anche con le novità della medicina, con le cure fisiologiche e con l’omeopatia.
Questo mondo in apparenza piccolo e provinciale, farà convivere al suo interno anche individui capaci di assorbire le grandi novità scientifiche e di immaginare vasti orizzonti. Ed è così che un saggio sulla nascita di un Orto botanico ci fa respirare un’aura europea.

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