“Non ho cacciato i disabili. Un equivoco. Sono pronto a chiedere scusa”.
NICOLOSI – “In questo momento sono un mostro. Sono schedato come un mostro. Ma io ho un debole per sti cristiani. Io per primo mi sento un disabile. Guardatemi, soffro per l’obesità, la trombosi mi devasta le gambe. Guardatemi, pensate davvero che io avrei mai potuto cacciare dei…”. Mario Signorelli, mentre solleva l’orlo dei pantaloni per farci vedere gli effetti della patologia che lo affligge, ci guarda sinceramente smarrito e ci chiede “Come devo dire? Adesso ho anche paura a dire la parola disabili. Non vorrei suonasse come un atteggiamento poco rispettoso”. Gli occhi diventano rossi, le lacrime vorrebbe trattenerle. Piange, visibilmente smarrito.
Mario Signorelli è il gestore del S. Rita Garden di Nicolosi. Il nome del ristorante-pizzeria al centro della vicenda fatta emergere dai responsabili del Csr di Viagrande, che hanno denunciato di essere stati cacciati mercoledì sera da un locale della Porta dell’Etna, è pubblico. Già da ieri la pagina su Facebook del locale è stata raggiunta da utenti che hanno espresso la propria indignazione, alcuni senza lesinare insulti pesanti.
“Purtroppo è così. E ancora non riesco a credere a quel che sta succedendo”. Mario Signorelli ci accoglie nel suo locale. A pranzo è chiuso. Lo apre per noi, perché vuole dire la sua proprio lì dove “Sono diventato improvvisamente un mostro”. Lo fa con accanto la moglie Maria e la figlia Claudia.
“Vedete? Nemmeno una barriera architettonica. Ma so che non basta per riabilitare un’immagine che mi dipinge per quel che non sono. Anche se chi conosce me e la mia famiglia sa chi siamo, che gente siamo. Ma oggi con internet è facile che tutto si ingigantisca e in un attimo ti risvegli in un incubo”. “Non abbiamo ammazzato nessuno”, Maria guarda suo marito e piange. Le lacrime non le trattiene anche Claudia: “Io ho letto quel che è stato scritto dalle persone sui social, sulla nostra pagina e ancora non riesco a credere che stia avvenendo davvero. Da un equivoco è scoppiato un incendio che ci sta devastando. Io ho lavorato due anni con bambini affetti dalla sindrome di down, nel nostro locale abbiamo come ospiti fissi associazioni che si occupano di persone con esigenze simili a quelle dei residenti del Csr, l’Unione Ciechi è uno dei nostri clienti più affezionati. Insomma, non sappiamo nemmeno cosa voglia dire discriminazione. Noi per primi detestiamo chi ha pregiudizi. Per questo non potete immaginare quanto ci stia facendo soffrire questa vicenda. Mi sento inutile, perché qualsiasi cosa possa dire temo che non venga creduta. Ci sentiamo condannati ad un marchio che non meritiamo”.
Un equivoco, toni che originano incomprensioni, ecco cosa è accaduto secondo Signorelli: “Quando l’assistente sociale (Graziella Lentini, ndr) mi ha telefonato per prenotare, mi sono messo subito a disposizione, così come è ovvio che fosse. Mi aveva richiesto un numero imprecisato di posti, dai 15 ai 20. Non sarebbe stato un problema. Mercoledì sera la Lentini è entrata nel locale con un collega e tre persone con la carrozzina ed è vero che ha trovato le sedie attorno al tavolo, ma non per mancanza di rispetto, semplicemente perché noi siamo soliti sistemare definitivamente i posti quando si presentano i clienti. Ci muoviamo di conseguenza. Sono manovre rapide. Io comunque, ho provveduto subito ad esaudire le loro richieste, ma l’assistente voleva dirci come bisognava fare, trascurando il fatto che io conosco bene il mio locale e sapevo come sarebbe stato meglio procedere per soddisfare le esigenze di tutti. Quelle del loro gruppo e quelle nostre in vista dell’arrivo di altri clienti. Era soltanto una questione di semplice organizzazione finalizzata alla loro massima soddisfazione. Ma, evidentemente, non ci siamo capiti. Probabilmente il mio modo di essere non le sarà piaciuto, non so. Fatto sta che l’operatrice si è rivolta a un collega e gli ha detto Te l’avevo detto che non dovevamo venire in questo locale. Allora sono stato io ad offendermi ed i toni si sono alzati, tanto che uno dei ragazzi sulla sedia a rotelle ci ha detto di calmarci. Soltanto dopo quella frase che mi ha infastidito, ho detto alla Lentini che nessuno la obbligava a venire qua e che se non le andava bene il mio locale, quella era l’uscita. Non ho insultato o detto cose che potessero fare credere che volessi cacciare i 12 ragazzi in carrozzina. È stato soltanto un diverbio fra me e l’assistente sociale, un equivoco che è degenerato perché poi sono andati via ed è successo quel che è successo. Io non ho cacciato nessuno. Dopo quelle incomprensioni, l’assistente ha preferito portare il suo gruppo in un altro locale”.
Parla come se scaricasse dalle spalle una zavorra pesantissima. Ma non basta a rasserenarlo. “Quando ero giovane e non avevo le limitazioni fisiche che vedete, mentre passavo dalla piazza centrale di Nicolosi con la macchina vidi Nino Cariola che veniva preso a calci sul sedere da un gruppo di miei coetanei. Nino è conosciuto in paese, un’anima buona, mentalmente è rimasto un bambino. Mi avvicinai e gli chiesi cosa stesse succedendo e lui «Mario stiamo facendo una partita di calcio». E lui era il pallone. Quei bulli gli avevano detto che lui doveva fare il pallone se voleva giocare con loro. Allora sono sceso dalla macchina e mi sono azzuffato con quei balordi. Erano una decina. Ho preso tante botte, ma tante ne ho date per difendere un ragazzo come Nino. Io sono questo e non quello che questa vicenda vuole fare sembrare che io sia”.
Una vicenda che Mario Signorelli e la sua famiglia adesso desiderano chiarire con i diretti interessati. Lo dicono con fervore, sinceri. “Voglio andare nella sede del Csr per chiedere scusa – conclude Signorelli – io non ho attaccato o offeso nessuno. Ma mi dispiace se un mio tono o comportamento possa essere stato frainteso. Ripeto: è stata soltanto un’incomprensione fra me e l’assistente sociale. Non era mia intenzione che loro andassero via, tutt’altro. Desidero chiedere scusa nella loro sede e ospitarli nel nostro locale. Gli errori vanno sanati. Spero che il mio abbraccio venga accolto, non venga rifiutato, in privato o pubblicamente non importa. Lo faccio col cuore”.
Alessandro Sofia