Viaggio nel mondo del volontariato ospedaliero con la presidente dell’associazione VOI, l’onlus che opera in parecchie realtà ospedaliere di Catania: dal Vittorio Emanuele al Cannizzaro, dall’Istituto Oncologico Mediterraneo di Viagrande al Pronto Soccorso Pediatrico del Garibaldi-Nesima. Castronovo: “Ci chiamano angeli, ma siamo solo un gruppo di volontari pronti a donare un sorriso”.
Quando ha spalancato, in realtà, le porte al mondo del volontariato?
“A 22 anni con mio marito facevamo parte della Misericordia, sezione di Ognina. Durante quest’esperienza notavo che facevo fatica a sostenere il distacco dai pazienti una volta accompagnati al Pronto Soccorso. Successivamente, andavo a trovare una mia zia in una casa di riposo e tutte le volte mi rendevo conto che la mia spensieratezza coinvolgeva non soltanto lei ma anche gli altri vecchietti. Così, pian piano, grazie all’aiuto anche di Antonio Fallico, monsignore e parroco di Santa Maria di Ognina, cominciai ad aprirmi al mondo delle associazioni che operavano all’interno degli ospedali. Iniziai al Garibaldi, nel reparto di Chirurgia vascolare quando, all’epoca, praticare amputazioni era molto più frequente di ora. Una realtà abbastanza cruda con cui dover fare i conti come prima esperienza, ma che mi è servita tanto per affrontare con coraggio l’ambiente ospedaliero”.
Qual è la filosofia che sta alla base di Voi?
“Essere, innanzitutto, consapevoli del fatto che non è possibile comprendere fino in fondo come ci si sente realmente in un letto di un ospedale. Bisogna stare al posto di un degente per capirlo e, strada facendo, ci andai a finire pure io: la fede nel Signore in quell’occasione mi fu di sostegno e da allora avvertii la paura della notte. Ancora oggi detesto il buio: durante le ore notturne tutto si moltiplica, le ansie si amplificano e nessuno può tenerti la mano. Per questo, forse, so come stare accanto ad un ammalato. Loro sentono il modo in cui lo fai, ecco perché io non dico mai ai miei volontari: “date un abbraccio, fate questo o quest’altro”. I gesti in corsia devono essere spontanei. Non a caso il nostro simbolo è un cuoricino rosso”.
Qual è il complimento più bello che un malato le ha fatto?
“Noi veniamo regolarmente definiti “angeli” e ciò un po’ mi turba perché mi chiedo: “Ma è mai possibile così tanta differenza comportamentale nei confronti di chi soffre?” Sempre più spesso la gente è disabituata a dare, forse anche ai propri cari”.
Il volontariato quanto è importante in una città come Catania?
“Tanto. La città è piena di associazioni, però, non tutte esistono al di là dei documenti ufficiali. Parecchie, cioè, vengono istituite semplicemente con l’obiettivo di accedere a finanziamenti, senza godere pertanto di credibilità. I nostri punti di forza, invece, sono la professionalità e la volontà che tutti i volontari mettono a servizio degli ammalati senza alcun sostegno da parte di terzi. In questi anni non abbiamo mai ricevuto un centesimo da parte delle istituzioni, l’unico supporto è quello del Centro Servizi Volontariato Etneo per la stampa delle brochure e dei manifesti in occasione dei corsi base. Questo ci rende orgogliosi, come il fatto che annualmente direttori di unità operative, presidenti di fondazioni e docenti, gratuitamente, si calano nel ruolo di relatori condividendo con i volontari VOI la propria esperienza e formazione professionale. E non è un caso se l’onlus vanta 320 iscritti, tutti in attivo”.
Volontariato e politica sono due realtà che secondo lei stentano ad incontrarsi?
“Il problema più grande è che la politica fino ad ora sostiene spesso associazioni se ha un interesse per farlo, senza nemmeno indagare più di tanto sull’operato dell’onlus che intende appoggiare. Le istituzioni potrebbero fare tanto per incrementare la cultura del volontariato, ma dovrebbero uscire da quei sistemi che esulano dalla filosofia del donare con amore. Ad esempio, sarebbe importante che i volontari venissero rimborsati delle spese che effettuano per esplicare la loro attività. La politica dovrebbe dare la possibilità ai giovani di poter fare volontariato senza dover chiedere ai propri genitori i soldi per la benzina. La mia associazione è piena di persone che, pur perdendo il posto di lavoro, continuano a stringere la cinghia e a non abbandonare il percorso intrapreso in corsia. Le istituzioni disconoscono tutto ciò”.
Avete una sede?
La mia casa, è li che facciamo gli incontri del direttivo. Siamo alla ricerca di uno spazio da tempo e, a dire il vero, giusto ad una ventina di metri dalla mia abitazione alcuni beni sequestrati alla mafia sono stati adibiti in ludoteca dal comune di Acicastello. Io ho chiesto diverse volte al sindaco di poter usufruire di una piccola area per le nostre riunioni, ma ancora nulla di fatto”.
C’è una storia che in questi anni le è rimasta impressa?
“Tante. A lieto fine e non, purtroppo. Mi viene in mente quella di Marco Cappadonna, un ragazzo di appena 22 anni che durante il suo primo giorno di lavoro ebbe un incidente rischiando l’immobilità assoluta. Fu ricoverato alla stanza 11 dell’unità operativa di Ortopedia del Cannizzaro. Quando riuscì a tornare a casa sano e salvo mi chiamò e mi disse: Dina, voglio farti un regalo. Voglio diventare un volontario Voi e occuparmi di questo reparto”. Io rimasi esterrefatta, così il primo giorno gli donai il camice e il nostro stemma, lo portai in quella stanza che lo aveva ospitato durante la degenza. Al suo posto vi era già un altro paziente. Marco si sedette al suo fianco e gli disse: “ce la farai”.