I manifesti paradossali per le elezioni

AGRIGENTO — Intervistato, il cane abbaia. E cosa potrebbe mai fare un bulldog francese, seppur chiamato Stefano e candidato a governatore della Sicilia? Il programma politico del «bau bau» lascia a desiderare, ma i fans di Stefano pensano che sia «meglio un cane Politico che un Politico cane». Testuale. Stampato sui manifesti di Favara, nella città dove il centro storico si sbriciola e dove due bimbi morirono tre anni fa nel crollo di una palazzina. Nasce qui, nel disastrato centro a dieci minuti da Agrigento, la provocazione più impietosa per chi ha fatto politica in Sicilia e cerca voti scontrandosi con uno stravagante pugno di «indignados» impegnati in un vero e proprio comitato elettorale per il «Partito della rabbia».

SLOGAN FARSA ANCHE A PALERMO – La finzione e la farsa al potere campeggiano anche a Palermo fra le strade tappezzate da tale «Mangianfranco» che all’eloquente cognome associa un programma degno di Cetto La Qualunque: «Ma quale pilu… vuliemu a pila». E per essere ancor più chiari, gli obiettivi da raggiungere sono netti: «Villa a mia moglie, Suv a mio figlio, cabina a Mondello per mia suocera». Si diverte Tony Matranga, il cabarettista che ci mette la faccia chiedendo il voto «per il bene mio e della mia famiglia». Fra tanti dubbi richiami all’onestà, al bene di tutti, a coerenza, responsabilità e impegno che grondano dai manifesti colorati di città grandi e piccole, ecco un moto di artefatta sincerità per sbeffeggiare i Fiorito che si celano dietro tante promesse. L’ironia e la beffa ai limiti dell’irrisione non sono mancate in altre elezioni, ma stavolta in Sicilia è un’esplosione di paradossi. Non solo a Favara col il cagnolino di Lillo Bernardo, un buontempone di 33 anni divertito come Calogero e Jonny Bennardo, Diego Vita e Paolo Messina, gli altri protagonisti del «comitato» di Favara. La metafora canina riecheggia infatti in un una vera formazione, «Il risveglio del Sud», presentatasi con un osso spolpato, verde bianco e rosso, come simbolo e con manifesti espliciti: «Ci hanno ridotto così! Cambiamoli». È l’urlo di Roberto Maccarone che giura di lavorare «per il riscatto della Gente Brava, Laboriosa e Onesta», unito «ai Crociati del Fare e ai Gemelli d’Italia». Ogni dubbio è legittimo. Anche quando ci si imbatte nel programma di Anna Tiziana Iannotta: «Riattacchiamo le arance agli alberi».

METAFORE OTTOCENTESCHE A TRAPANI – O, a Trapani, nella metafora di Baldo Gucciardi, Pd, slogan da romanzo dell’ottocento, perché «Regione è sentimento» fa tanto «Ragione e sentimento». Il richiamo al popolo spolpato dalla malapolitica è invece il refrain riproposto in tutte le salse da armate di puri e duri pronti ad accendere i fuochi dell’indignazione e della fantasia perché si va dal «Movimento Uguali e partecipi» al «Partito delle aziende», dal «Partito Pensiero e Azione» ai «Forconi» che, invece di affondare il tridente, si spaccano in tre. Una costola confluita nel movimento «Indipendenza e produttività», guidato da Lorenzina Grasso, mentre il leader storico del gruppo, Mariano Ferro, corre da solo e il marsalese Martino Morsello, con relativo simbolo azzurro, ha scelto il movimento di Cateno De Luca, un bizzarro deputato uscente famoso per essersi presentato in mutande, già arrestato per abuso d’ufficio e concussione, adesso pronto a tuonare dai manifesti dove si fa chiamare «Scateno». Un paradosso dietro l’altro. Non tutti voluti. Come accade vicino a Favara, a Grotte, dove dopo una legislatura di pausa si ricandida Giancarlo Granata, provenienza An come il suo più famoso omonimo Fabio. Arriva da Canicattì e mira all’elettore: «Io ti posso guardare negli occhi». Ma proprio a Grotte l’hanno fulminato per i manifesti abusivi, con il commento di Carmelo Arnone sul sito «Grotte info quotidiano»: «Anch’io vorrei poterti guardare negli occhi per chiederti se i tuoi manifesti possono sporcare il mio paese». Proteste e sorrisi. Anche a Palermo dove a un giovane della covata Idv, Giancarlo Cammarata, i suoi sponsor fanno chiedere il voto via internet con una chiosa al centro «Non sono parente». Quanto basta, sperano, per conquistare chi non amava l’ex sindaco.

Felice Cavallaro

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