L'estate di Laura Salafia

Catania – Corre Lisa Simpson sulla maglietta di Laura. Corre, avvolta da una nuvola di strass su uno sfondo rosso vermiglio che sembra un inno alla vita. Ed è sorprendente che a indossarla sia proprio lei, Laura Salafia, la studentessa colpita due anni fa da un proiettile vagante davanti alla facoltà di Lettere e Filofosia di Catania, e da allora costretta all’immobilità dal collo in giù. Laura che viene da Sortino, un paese in provincia di Siracusa, e che a Catania si era trasferita per frequentare l’Università. Quel giorno – era il 1° luglio 2010 – aveva appena superato a pieni voti l’esame di Spagnolo. Nella sua mente mille progetti, come quello di tornare a insegnare, un’esperienza che aveva fatto a Padova e che le era piaciuta tanto da voler tornare in Sicilia e completare gli studi. Poi la follia insensata, gli spari in piazza Dante, cinque colpi d’arma da fuoco esplosi da un uomo contro un altro uomo per un’assurda questione privata, e lei incolpevole lì, nella traiettoria di uno di quei proiettili, il posto sbagliato nel momento sbagliato.

E’ sopravvissuta Laura Salafia, ma a 34 anni appena compiuti ha dovuto rivedere tutto: i suoi programmi, la sua vita, il suo presente stesso. Eppure questa giovane donna dagli occhi grandi e forti non ha smesso un attimo di lottare. Prima a Imola, al Montecatone Rehabilitation Institute; poi a Catania, dov’è rientrata il 5 dicembre scorso e dov’è tuttora ricoverata all’Unità Spinale Unipolare dell’ospedale Cannizzaro, unico centro del Meridione attrezzato per le più moderne cure ai pazienti con gravi lesioni al midollo.

È qui, in questo padiglione nuovo e accogliente, che accetta di incontrarci. A?introdurci è Antonio Guarino, il fidanzato di sempre, che in questi ventiquattro mesi è stato il volto mediatico di Laura, colui che ce l’ha fatta conoscere, che le ha dato voce, che ha chiesto giustizia e solidarietà per lei, quando giustizia e solidarietà sembravano due parole assenti dal vocabolario delle istituzioni.

Come lei di Sortino e insieme a lei da dodici anni, Antonio lavora al bar del quotidiano La Sicilia, a pochi passi dalla redazione dell’Ansa. Anche il giorno dell’incidente era lì, ed è per questo che la notizia gli giunse praticamente subito. “Una ragazza del tuo paese è stata ferita davanti all’Università” gli dissero. Un fulmine a ciel sereno. Da allora non ha smesso di starle accanto, «anche se – racconta – durante i mesi di ricovero a Imola riuscivo a vederla solo una volta al mese».

Non puoi dire chi sia Laura Salafia se non l’hai incontrata, se non l’hai vista in quella sua maglietta rossa, se non l’hai sentita parlare, se non le hai letto negli occhi quella forza d’animo che sembra provenire direttamente dal Cielo e che invece è tutta concentrata su questa terra, su una quotidianità fatta di forza di volontà e coraggio. Non puoi conoscere Laura se non hai conosciuto i suoi genitori. Mamma Enza e papà Nino. Silenziosi e defilati, ma sempre, discretamente, accanto a lei. Non vogliono farsi fotografare, non rilasciano interviste. Sono il tesoro di Laura, come sua sorella, di qualche anno più grande, e suo nipote, un quindicenne che la adora e che lei chiama “il mio fratellino”.

Dobbiamo aspettare ancora un po’ prima di incontrarla. Laura ha appena finito di fare la fisioterapia in palestra e deve rimettersi in ordine, un tocco di sacrosanta vanità femminile. In corridoio incontriamo il padre, le presentazioni, poi una frase di circostanza. “Come va?”. I suoi occhi tradiscono una commozione a cui, però, non osa concedere troppo. Sa che non può permettersi cedimenti, sa che a sua figlia e alla sua forza deve almeno questo. Si riprende, sorride: «Da qua in su – dice, portando la mano all’altezza del collo – è la Laura di sempre».

Qualche metro più avanti, lungo lo stesso corridoio, incontriamo mamma Enza «In questi mesi – racconta – ha ricevuto tantissime visite, non solo di amici ma anche di persone che nemmeno la conoscevano, che hanno saputo del suo incidente e hanno voluto incontrarla. Non mi aspettavo tanto affetto dalle persone comuni».

Finalmente Laura è pronta, entriamo nella stanza che ha scelto per riceverci. Ci accoglie con un sorriso, i capelli raccolti, la linea della matita sulle palpebre. è bella, inaspettatamente bella; a ben pensarci non c’è fotografia o ripresa televisiva che abbia reso giustizia alla luce del suo sguardo, a quella gioia mista a determinazione che la rendono pienamente donna.

Non appena comincia a parlare, il suo dramma, la sua disabilità sparisce, come se fosse un pregiudizio, un’idea che appartiene agli altri, non a lei. Ti dimentichi di quel proiettile che le ha lesionato il midollo osseo conficcandosi tra la seconda e la terza vertebra cervicale, e di quella tremenda diagnosi, che non concede vie d’uscita: tetraparesi, una vita in carrozzella.

Quando Laura parla, non c’è più nulla di tutto questo. Hai di fronte una giovane donna consapevole dei nuovi limiti con cui si deve confrontare, ma che ha voglia di vivere pienamente la sua vita, che immagina e progetta il suo futuro e che lotta ogni giorno per poterlo realizzare.

«Il mio desiderio più grande – dice – è poter tornare a casa». Sa bene che quel “tornare” è in realtà un nuovo inizio; che nulla, una volta fuori di qui, sarà come prima dell’incidente, come lo chiama lei. Ma non sembra aver paura delle sfide. «Tornare a casa per me significherebbe anzitutto andare via dall’ospedale, sono due anni che vivo da ricoverata».

Fa un po’ di fatica a parlare, ogni tanto si ferma, chiede un sorso d’acqua. Poi riprende: «In questo momento sto cercando di risolvere alcuni problemi clinici, stiamo lavorando per svezzarmi dal respiratore; ma spero di riuscire a recuperare in tempi brevi».

«Quando è tornata a Catania – spiega Antonio – ci avevano detto che in un paio di mesi sarebbe potuta tornare a casa. Purtroppo, però, le sue condizioni qualche mese fa sono improvvisamente peggiorate, ci sono stati problemi respiratori che adesso sta superando. Quando si stabilizzerà di nuovo, potrà essere dimessa».

Un obiettivo che Laura cerca di raggiungere ogni giorno. Lavora tanto: sta imparando a fare a meno del respiratore e a usare una carrozzina supertecnologica comandata con il mento, che potrà esserle di grande aiuto quando uscirà. «Faccio regolarmente due tipi di fisioterapia, motoria e respiratoria, un’attività faticosa ma che mi piace, grazie anche agli operatori sanitari che mi stanno accanto e mi motivano, i fisioterapisti Graziana Toscano e Maurizio Bulla. In questi mesi ho instaurato un bellissimo rapporto non solo con loro ma con tutto il personale del reparto. Siamo diventati come una famiglia».

Mentre parliamo, entrano due infermieri, Patrizio Tropea, sempre pronto a strappare un sorriso con le sue battute, e Antonella Barbagallo, che Laura definisce “il mio angelo”. «In realtà sono io che devo ringraziarla – ammette l’infermiera -. Sembra incredibile, ma è lei che mi dà forza e non il contrario. Persino quando capita di raccontarle qualche problema personale trova sempre le parole giuste. è una persona speciale».

Se sul fronte della riabilitazione Laura e il personale medico e paramedico ce la mettono tutta, su quello burocratico ed economico c’è ancora molto da fare. Già a novembre 2011 l’appello di Antonio era stato chiaro: aiutateci a riportare Laura a casa.

Laura, formalmente, non è vittima di mafia, per cui nulla, a termini di legge, le è dovuto dallo Stato.  Non importa che il vero destinatario delle pallottole fosse il pregiudicato Maurizio Gravino, né che il motivo della sparatoria sia stata una sorta di “questione d’onore”. L’uomo che ha sparato, Andrea Rizzotti – condannato in primo grado a 18 anni – sembra essere nullatenente, perciò con ogni probabilità la famiglia Salafia non potrà contare nemmeno sul risarcimento.

Da lì la sottoscrizione, tuttora in corso, lanciata dall’emittente Telecolor per sostenere le spese mediche e per dare a Laura la possibilità di tornare a casa. Una iniziativa partita in sordina, ma che con il passare dei mesi ha preso piede (vedi didascalia a pag. 29). Pochi mesi fa, finalmente, la notizia che il?Comune di Catania ha messo a disposizione una casa per Laura, che le sarà data in comodato d’uso. «Si tratta di un appartamento in centro città – spiega Antonio – abbastanza vicino tanto ai presìdi ospedalieri quanto alla facoltà di Lettere. Sappiamo che è stato già firmato il progetto per ristrutturarlo e renderlo a misura di Laura, ma non sappiamo altro, né quanto denaro occorra né quanto tempo ci vorrà per riuscire a completarlo».

In assenza di altri contributi da parte delle istituzioni, una parte importante può essere svolta dalla società civile e dai privati. Come l’iniziativa dell’associazione AddioPizzo, che ha destinato parte del ricavato della Lotteria di Pasqua – 6000 euro – alla causa di Laura, o la serata “Terapia Rock” organizzata a fine maggio dagli studenti universitari. Briciole, forse, ma pur sempre un segnale positivo di una città che non vuole dimenticare, e che, in qualche piega della sua coscienza, si sente responsabile per quanto è accaduto a Laura il 1° luglio di due anni fa.

Un anniversario doloroso per chi la ama, ma non per lei: «Può sembrare strano – assicura – ma non ci ho pensato per niente, per me è stato un giorno come un altro. Ormai quel che è successo è successo, non mi lascio impressionare dalle date, devo solo guardare avanti».

È vero, sembra strano. Quando si parla della sparatoria in cui è rimasta ferita, dalle sue parole non emergono rimpianti né rancore, nemmeno nei confronti di chi l’ha costretta a una vita durissima per chiunque. Dalle sue parole si capisce che lei, in fondo, non si sente nemmeno una vittima.

«Devo essere sincera. Questo incidente io non l’ho mai vissuto come qualcosa che mi avesse strappato la vita. Quando mi sono risvegliata, la prima cosa che ho pensato è stata di andare avanti, non mi sono soffermata a pensare a chissà cosa… Ho sempre detto che non dovevo essere io a giudicare. Chi sono io per farlo?».

«Certo – continua – a livello di sicurezza a Catania le cose sono cambiate rispetto a qualche anno fa. Da un po’ di tempo ormai la situazione in città è peggiorata, anche alcune zone centralissime, come via Etnea o via Umberto, sono sempre più degradate. La società e gli amministratori dovrebbero porsi il problema e correre ai ripari, perché quello che è successo a me potrebbe capitare a chiunque. La prima cosa che ho detto ad Antonio quando mi sono risvegliata dal coma è stata questa: spero che quello che è successo a me serva a scuotere le coscienze».

Le chiediamo se la sua forza le venga da un Credo, se è la fede a sostenerla. «Io sono credente, cattolica. Sin dall’inizio di questa storia ho chiesto al Signore che questo mio dolore potesse essere d’aiuto a coloro che si trovano in un momento di sconforto o di sofferenza».

«Laura è sempre stata così», dice papà Nino, che sembra aver intercettato i nostri pensieri. Come Antonio, non si è allontanato un istante durante il nostro colloquio, ha ascoltato ogni parola. D’un tratto capiamo che lì, in quella famiglia, in quella rete che le sta attorno, sta il segreto della forza di Laura. « – conferma lei – siamo una famiglia molto unita, lo siamo sempre stati, ci siamo sempre aiutati a vicenda. Sin da bambina sono cresciuta con questi valori; i miei genitori mi hanno insegnato che i problemi vanno affrontati con coraggio, che scappare non serve a niente».

I suoi non hanno dovuto spiegarle nulla di quello che è successo. Di quel giorno lei ricorda ogni cosa. La materia data a pieni voti, l’uscita verso piazza Dante con quel senso di leggerezza che si prova dopo ogni esame, e la voglia di festeggiare; poi gli spari, il dolore al collo, come un stilettata. «Sono caduta a terra, ma ero vigile. La prima persona che è accorsa è stato un sacerdote dell’ospedale Santa Marta».

I primi soccorsi, prima di svenire.

Qualche fotografia, poi ci spostiamo nella sua stanza, che da dicembre è il suo mondo. Accanto al letto una fila di immaginette sacre e una Madonna di Lourdes con l’acqua benedetta parlano della fede di questa famiglia. Di fronte un’immagine di Giovanni Paolo II, su cui sono poggiate farfalle di cartoncino, e una targa “A Laura, dalla Casa delle farfalle di Monteserra”.

Le farfalle, disegnate, ricamate, sono dappertutto. Sorride: «Mi piacciono tanto. Per il mio compleanno, il 5 giugno, il responsabile del Centro di Viagrande mi ha fatto un regalo bellissimo, mi ha portato una voliera con le farfalle. Ci siamo lasciati con la promessa che non appena starò meglio andrò personalmente a trovarlo».

Per adesso, però, è in questa stanza che Laura trascorre le sue giornate e vince le sue piccole e grandi battaglie. è qui che, quando non fa terapia, ascolta i suoi Cd: «Amo i Led Zeppelin e in generale la musica rock Anni ’70, ma anche la musica classica mi fa stare bene». E poi c’è la lettura. In queste settimane sono i libri a far battere il cuore di Laura, che ha ripreso a studiare con l’aiuto di una tutor messa a disposizione dall’Università per dare gli esami dell’ultimo anno. «Pochi giorni fa – ci racconta felice – qui in ospedale è venuta la commissione e ho dato Storia e critica del cinema».

Di nuovo la gioia di un esame superato, anche questa volta a pieni voti. La laurea in Lettere, una vita con Antonio nella casa in cui ci auguriamo possano al più presto trasferirsi, al centro di Catania, la città che nonostante tutto ama moltissimo e dove sogna il suo futuro. Da qualche settimana pure una rubrica tutta sua, che terrà ogni quindici giorni sul nostro quotidiano per raccontarci un po’ di sé.

Due anni dopo quegli spari insensati, la vita di questa giovane donna sembra, finalmente, riprendere il suo cammino. Con un passo diverso da quello che aveva immaginato, certo. Ma questa sfida, Laura, sembra averla già accettata.

Il Comune di Catania: «Dall’esperienza di Laura un servizio per tutti»

Si trova in via di Sangiuliano l’appartamento che il Comune di Catania darà in comodato d’uso a Laura Salafia e che – compatibilmente con le condizioni cliniche e con i tempi necessari per ristrutturarlo e adeguarlo alle sue esigenze – potrebbe esserle consegnato anche alla fine dell’estate. A entrare nei dettagli per la prima volta è l’assessore comunale alle Politiche sociali Carlo Pennisi, incaricato dal sindaco Raffaele Stancanelli di seguire da vicino la vicenda. «In questi mesi l’impegno della Direzione dell’assessorato è stato massimo» assicura Pennisi, che aggiunge: «Il Comune è intervenuto dopo che per otto mesi politici e onorevoli avevano promesso a Laura di tutto e di più. Promesse poi cadute nel vuoto». Da lì la decisione del sindaco di prendersi in carico la questione.

«Non si tratta solo di trovare una casa per Laura – tiene a sottolineare l’assessore -. Abbiamo scelto di uscire da certa una “logica riparativa” e di andare oltre. La forza di Laura e la sua esperienza devono costituire l’occasione per mettere a sistema un meccanismo che possa servire anche alle altre persone, e non sono poche, che si trovano in condizioni simili alle sue. Ecco perché la Direzione Servizi Sociali ha lavorato per preparare tre progetti di “domicilio protetto”, finanziati per tre anni, che nei prossimi giorni saranno oggetto di una delibera di Giunta». E’ in questo contesto che trova posto la casa per Laura. «Uno di questi progetti – spiega Pennisi – prevede la destinazione dell’immobile del Comune a Laura Salafia attraverso un comodato d’uso; un progetto complesso che coinvolge Comune, Azienda sanitaria provinciale e medici dell’Unità spinale, perché tutto deve essere fatto mettendo Laura nelle migliori condizioni possibili». All’Asp il compito di provvedere ai dispositivi medici; al Comune, invece, toccherà risolvere tutto il resto, a partire dalla ristrutturazione e dall’adeguamento dell’immobile. «Dobbiamo ancora trovare 10 mila euro – ammette l’assessore – ma contiamo di reperirli in tempi brevi. Una volta ottenuta la delibera di Giunta e trovato il denaro, si potrà procedere con i lavori di ristrutturazione, che dovrebbero durare 3-4 settimane». Infine, pare che anche per l’arredo si stia trovando una soluzione: potrebbe essere Ikea a occuparsene, nell’ambito della sua attività di Responsabilità sociale.

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