Personaggi di Viagrande (Parte prima) di Paolino Licciardello

Personaggi di Viagrande”, non me ne vogliano gli altri autori qui indegnamente e brevemente recensiti, non mi permette quella sintesi che mi viene richiesta da un sito che, essendo radiofonico, abbisogna di tempi snelli e veloci. Chissà poi perchè si abbia tanta paura delle parole… mistero!

Non me lo permette, dicevo, perchè troppe le sensazioni che suddetta lettura ha provocato in me. E’ stato come leggere una lunga lettera d’amore. Ne ho soppesato ogni parola, ogni atmosfera. Ne ho assorbito ogni odore ed umore. Grande l’autore (credetemi, non mi viene in mente altro termine), Paolino Licciardello, nel raccontare episodi di vita vissuta che è “scivolata via come un treno rapido a guardarla in prospettiva mentre, affrontandola quotidianamente, sembrava un treno merci accelerato”. Si tratta di una galleria di personaggi, come dice l’ottimo Salvatore Daniele autore di una mirabile recensione; un compendio di racconti, indipendenti ed autonomi tra loro ma che, messi insieme, danno un quadro omogeneo della difficile vita affrontata nel periodo post bellico. In un luogo, unico come Viagrande, vera protagonista del libro, dove la vita di ciascuno diventa la vita di tutto un paese al di là dell’appartenza sociale. Un microcosmo dove convivono felicemente individualità che diventano patrimonio collettivo. Tutte accomunate dalla fatica di tirare avanti e di ricostruire con strumenti logori, per dirla alla Kipling. Un periodo di grande fatica ma anche di grande speranza con un futuro ricco di aspettative, preludio di quello che oggi è diventata Viagrande, una cittadina piu’ che un paese in senso stretto, un modo di essere… azzarderei. Un luogo dove si incontrano due diverse “civiltà”, quella strettamente natìa, e quella che, incantata dalla mitezza del clima, dalla bellezza a portata di mano dei luoghi, ne ha fatto la sua seconda patria, eleggendo qui la propria dimora. Da questo incontro/scontro tra due civiltà, diverse e simili, nasce la moderna Viagrande dove si “combattono”, con enfasi teatrale, umorismo ed ironia, due diversi modi di vivere il proprio paese e che, in nome di un campanilismo, a volte patologico, si “battono” per affermare il proprio genuino sentimento di attaccamento al luogo. Credo che, da questo punto di vista, Viagrande rappresenti un raro esempio… un’isola felice nel processo di globalizzazione che induce, spesso, a considerare un luogo simile ad un altro. Ascoltare, oggi, i discorsi tra paesani in quella che è l’attuale e moderna agorà, Piano Gelsi e non già come erroneamente pensano i “forestieri” Piazza Urna, è come assistere alla rappresentazione di due diversi modi di amare una stessa donna. C’è chi la vorrebbe sbandierare per godere gli sguardi ammirati degli altri e chi la vorrebbe gelosamente chiusa in casa. In questo scontro, mai sterile ma sempre stimolante, nascono quelle accese, e consentitemi simpatiche, diatribe che vedono Viagrande al centro di amori/odi talvolta viscerali così, come nei poemi cavallereschi, ciò avviene in nome dell’amore di una donna.

Paolino Licciardello passa, con grande maestria linguistica ma soprattutto con grande cuore, a raccontare la sicilianità del luogo sottolineando, ad esempio, l’uso dei pecchi, gli antichi soprannomi… se a Viagrande, e succede ancora oggi, non ne possiedi uno… non conti nulla, non sei nessuno e descrive, in maniera memorabile, i luoghi che fanno di un paese qualcosa di diverso e particolare rispetto ad una città, dove ognuno potrebbe essere qualsiasi altra persona, in un processo di identificazione al contrario che porta ad una spersonalizzazione desolante. Luoghi, dicevo, che diventano sede ideale dove si svolge la vita: le piazze, le chiese, le putie, le vanedde… Il tutto cadenzato dai tempi lenti, e diluiti agli occhi di un bambino, del periodo post bellico.

L’autore, simpaticamente noto come “la forbice” per la Sua grande capacità di osservazione e, diciamo diplomaticamente, di “comunicazione”, avverte che trattasi di una “Parte prima” e conoscendolo non si può non pensare, con una punta di scanzonata malizia, che questa dicitura sia un monito a chi pensa di essersi salvato, stavolta, dal veder raccontata la propria storia e quella della propria famiglia. Licciardello, infatti, non fa sconti a nessuno e con il piglio del giornalista di razza racconta la realtà nuda e cruda. A volte, però, il romanticismo, a mio parere nascosto in quanto, erroneamente, ritenuto dallo stesso segno di debolezza umana, fa capolino sottolineando quelli che sono i risvolti sentimentali lontani, però, da un sentimentalismo becero. L’autore racconta e si sofferma sul lato romantico che albeggia in ogni storia ma senza forzature create ad hoc per suscitare quei moti dell’anima che, spesso, vengono usati dal moderno e ruffiano marketing. A Lui non interessa che il libro venga venduto e letto da chi il Suo paese non lo ama. Forse il desiderio è quello che venga letto perchè il Suo paese venga conosciuto ed amato da chi non ha avuto la fortuna di nascerci o di viverlo. E’ qui che l’autore si trasforma in moderno cantastorie, in menestrello che affida alle pagine dei suoi libri quelle storie che, finora, si sono tramandate di bocca in bocca e che a lungo rischierebbero di scomparire insieme ai propri protagonisti e le racconta così come vissute da Lui stesso o per come Gli sono state tramandate. Ciò è stato possibile, e credo che possa fungere da monito ai giovani di oggi, perchè il nostro autore sin da piccolo ha mostrato interesse per ciò che gli veniva raccontato dagli adulti protagonisti tutti di una memoria collettiva che va salvata, patrimonio irrinunciabile, e ciò avviene quando chi ha piacere di raccontare “incontra” chi ha il desiderio di ascoltare.

Non nego che spesso le lacrime hanno annebbiato lo scorrere delle pagine, mi hanno dato la sensazione di non averlo mai lasciato questo paese che, un lontano giorno di luglio del 2000 è entrato a far parte, per caso ma… a pieno titolo, della mia vita, e dove, essendomene andata incautamente meno di due anni fa, ho sepolto… frammentandolo… il mio cuore tra vanedde… viuzze… vicoli, in attesa di poterlo ricomporre, un giorno. Spero che quel momento arrivi prestissimo.

E, permettemi un ulteriore riferimento personale. La speranza è che la simpatia esternata nella dedica al primo libro “Le campane del mio paese”, aggiunta poi all’affetto ed alla stima riportata nella dedica al secondo libro “Angelina e le altre storie del mio paese” ed ingiustamente declassata a semplice e laconica stima, fomentata ad arte da chi il paese non lo ama e che cerca di utilizzarlo per scopi che hanno a che vedere con una sorta di “riconoscimento sociale” che altrimenti non potrebbe avere, e che condensa la dedica a questa terza opera, possa ritornare entusiasticamente nel vissuto mio e dell’autore… entrambi amanti, come pochi, del Nostro splendido paese. Entrambi viagrandesi doc…ca scoccia e senza scoccia!

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