L’editoriale di Ernesto Galli della Loggia, Il vero disavanzo delle democrazie, pubblicato sul Corriere della Sera del 17/08/11, sollecita una breve riflessione.
L’editorialista, per spiegare l’odierna crisi mondiale dell’economia, ne individua la genesi, mediante un dotto excursus storico, nell’“assottigliamento spirituale… della cultura democratica”: in breve, nelle democrazie occidentali, fondate sul consenso elettorale, sottoposto a verifica periodica, i governi si sono sempre più curati solo di soddisfare i bisogni, le esigenze, i desideri, sempre crescenti e tutti materiali, dei cittadini, spendendo, in tal modo, al di là delle proprie reali possibilità e di conseguenza indebitandosi oltre misura e cadendo preda e ostaggi della grande finanza internazionale. “A partire dagli… Anni 70, la crescita dei redditi, la rivoluzione dei consumi e la comparsa di sempre nuovi beni d’uso quotidiano, hanno cominciato ad occupare… l’orizzonte delle nostre società… condizionando le attese degli individui e la formazione della loro stessa soggettività. In questo modo dal dibattito ufficiale delle democrazie è stato rapidamente espulso ogni elemento ideale. Nelle società democratiche… non hanno trovato più spazio un qualunque discorso pubblico riguardante il mondo dei valori personali e collettivi, la qualità della vita individuale e della convivenza, le prospettive del futuro”. Il rimedio, “oggi difficile perfino a dirsi” ma probabilmente l’unico possibile, sta nel “trovare alla democrazia nuovi contenuti. Contro l’unidimensionalità economicistica riscoprire la politica; allargarne lo spazio di nuovo, come fu un tempo, ai valori essenziali che ci preme salvaguardare, ai grandi problemi del modello di società che vogliamo. Contro il minimalismo pseudorealista riscoprire la politica e la capacità che essa deve avere di animare un dibattito pubblico con verità, senza chiacchiere utopiche, ma anche con capacità di visione e di mobilitazione ideale”.
Ma “le motivazioni immateriali”, i Valori, individuali e sociali, non avevano perso ogni cittadinanza in un mondo dove l’unico valore, per altro ritenuto rigorosamente misurabile, è la capacità produttiva di beni materiali, di merci? Non era appena ieri che la cultura umanistica, o meglio la dimensione umanistica della cultura – presente anche nelle scienze – che sola può trasmettere quei Valori, era ritenuta un lusso che non potevamo permetterci, proprio per far fronte più efficacemente alla crisi? Non si è fatto di tutto per ridurre ai minimi termini una dimensione umana ritenuta obsoleta – che brutta parola! – inadeguata ai tempi e dunque inutile? Nell’educazione scolastica la visione del mondo unitaria, equilibrata, comprendente a pieno titolo anche la dimensione non materiale dell’uomo, ormai antiquata e improduttiva, in più non oggettivamente quantificabile, non doveva lasciare il posto alla triade ‘conoscenze, competenze, abilità’, queste sì, suscettibili di misura?
Oggi un’autorevole firma di un grande quotidiano italiano riscopre il ruolo fondante di quella che Protagora, filosofo democratico del V secolo a.C., chiamava politik?’ techn?, arte politica, ossia la capacità di essere buoni cittadini (Protagora, 319a) e non solo consumatori, avidi e postulanti dello Stato. Questa capacità, per essere acquisita, necessita di un’educazione non solo pratica, tecnica e settoriale, ma unitaria, armonica, teorica e aperta all’ideale.
Facta sequantur verba!
Salvatore Daniele