La morte è sempre difficile da accettare, ancor di più se si pensa che poteva essere evitata. E i familiari di Vanessa Torrisi, la 22enne italo-argentina, morta all’ospedale Garibaldi-Nesima di Catania, lo scorso 16 luglio, dopo 6 giorni di coma, ne sono convinti: «Vanessa non è stata curata. Siamo certi che qualcuno ha sbagliato – dice il padre, Salvador Torrisi, mentre non riesce a trattenere le lacrime – io voglio solo giustizia. I responsabili devono essere puniti».
Un calvario, quello vissuto da Vanessa, ad ascoltare il racconto dei familiari. Una lunga sofferenza protrattasi per giorni, con ben quattro richieste d’intervento ai Pronto soccorso: le prime due al “Cannizzaro” di Catania, le ultime al “SS.Salvatore” di Paternò, da dove Vanessa è, poi, partita per l’ultimo viaggio, diretta in coma al Garibaldi di Nesima, con i sanitari che nonostante i diversi tentativi adoperati, non sono riusciti a strapparla alla morte.
Il loro racconto comincia dal 24 giugno.
Vanessa, nata a Giarre, ma da tempo in Argentina con il padre, da qualche settimana era tornata in Italia, per aiutare la sorella residente a Belpasso, che aveva appena partorito. Quel maledetto venerdì, Vanessa è in bagno, scivola sul bidet sbattendo la zona sacrale contro il rubinetto. Un fortissimo dolore, ma sembra tutto a posto. Da qui l’inizio della fine. Vanessa con il passare delle ore, dei giorni, sente dolori sempre più lancinanti. Il 27 giugno arriva una prima volta in ospedale, al “Cannizzaro“.
Aveva già la febbre ed aveva vomitato ma i sanitari non trovano nulla e la rispediscono a casa dopo averle sottoscritto una pomata e degli antidolorifici. Il dolore continua, Vanessa il 28 torna ancora al Cannizzaro che, esegue un nuovo esame, e una Tac (come richiesto più volte dalla sorella) ma dall’esame emerge solo una infrazione alla quinta vertebra, con Vanessa che torna a casa. Da qui i dolori si acutizzano, Vanessa non riesce quasi più a camminare.
Con un’ambulanza del 118 arriva al Pronto soccorso dell’ospedale “SS.Salvatore“, nella notte tra il 5 ed il 6 di luglio, ha un grosso ematoma alla schiena, i medici fanno una Tac ma anche qui niente e viene rinviata a casa. Poi ancora il 118 per ritornare a Paternò la mattina del 10, quando è già in stato comatoso. I medici scoprono una necrosi sacrale e la mandano al Garibaldi, dove morirà senza aver mai più ripreso conoscenza. Disperato il padre tornato di corsa dall’Argentina: «Mia figlia era forte e sana, non doveva morire così. Voglio giustizia». Giustizia chiedono anche la sorella, Nancy Paola Torrisi ed il marito Benedetto Pidalà che racconta i drammatici fatti. Ed i familiari si sono rivolti all’avv. Antonino Grippaldi, dopo aver presentato una denuncia ai carabinieri della stazione di Belpasso. Già eseguita l’autopsia, con il caso affidato al magistrato Anna Benigni. Ed intanto ha chiesto di avviare un’istruttoria Ignazio Marino, presidente della commissione d’inchiesta sul servizio sanitario nazionale che afferma in una nota: “E’ necessario fare chiarezza al più presto su quanto è accaduto e in particolare è importante verificare gli accertamenti svolti sulla ragazza». Dal Garibaldi evidenziano in una nota come «la giovane è giunta nel nosocomio in gravissime condizioni dopo essere passata dall’ospedale di Paternò. I sanitari hanno subito operato la paziente, ma tutti gli sforzi fatti per salvarle la vita sono stati vani».
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