E’ il giorno di San Pietro e Paolo, faccio pure mezzo onomastico, e nella mia città adottiva è un giorno di festa. Sono distante centinaia di chilometri dallo spettacolo dei fuochi pirotecnici di Castel S. Angelo e anni luce dal mio umore tipo. Sdraiato attonito sul letto, cerco di trovare un po’ di lustro dentro di me. Sono le 11, ho un aereo nel primo pomeriggio e poche ore per organizzare qualsiasi iniziativa che possa distrarmi e farmi recuperare un accenno di sorriso. Solo adesso mi torna in mente che, parcheggiato nel box, c’è un Bajai Chetak Classic verde acqua sempre pronto a partire: la mia Vespa indiana chiede solo di togliersi di torno quel telo protettivo di plastica trasparente e ricevere una scalciata decisa sul pedale dell’accensione. Vado o non vado, vado o non vado? Non ho abbigliamento tecnico, non ho nè guanti nè protezioni, ma tanta voglia di aria sulla faccia. Incoscentemente indosso calzoncini corti, t-shirt e sandali francescani. Recupero un casco Bieffe dismesso da mia sorella. Non ho neanche la mia Canon digitale, utilizzerò l’iPhone. Si va.
Il monocilindrico 150cc della Vespa parte come sempre al primo tentativo, ha solo bisogno di girare un paio di minuti al minimo ed è già pronto a regalarmi nuove emozioni. Ho poco tempo ma desidero raggiungere una meta dove ritemprare lo spirito, un luogo contemplativo, dove respirare aria fresca e pura e lasciarmi divorare da un silenzio naturale. Per fortuna la mia Sicilia e la regione etnea, in particolare, offrono una quantità impressionante di itinerari anche a breve – medio raggio, così, dopo una rapida riflessione, mentre provvedo a riempire di olio 2t il misurino per il pieno di miscela, arrivo alla conclusione.
Il luogo di partenza del mio breve itinerario di oggi è Viagrande: non ho ancora fatto colazione e il modo migliore per coccolare l’anima (e lo stomaco) è fare un salto al Gran Caffè Urna, nell’omonima piazza, dove divorare una granita di gelsi rossi freschi con panna, affiancata da una tiepida brioche appena sfornata. La specialità del posto è la squisita pizza siciliana, ma meglio ordinarla in orari più adeguati… Il Bajai nel frattempo è in buona compagnia, uno dei clienti del bar guida una Honda CB Four in perfette condizioni!
Uscendo dal paese, in direzione nord, lungo la SP8, non posso fare a meno di fermarmi davanti a una storica officina meccanica, entrata nel mio personale immaginario sin da quando ero bambino, la Carrozzeria Faro. Sarò passato da qui migliaia di volte nella mia vita e, parcheggiate davanti la rimessa o all’interno del garage, ho sempre ammirato le auto d’epoca più belle di sempre, di cui, evidentemente, il titolare è esperto restauratore. Anche stavolta la mia passione non resta delusa: dalla strada riesco a scorgere una Lancia Beta Coupè e una rara Fiat 850 Sport.
La provinciale è poco trafficata e, d’altronde la giornata afosa non stimola certo a starsene in giro senza ragione. La luce è forte e abbagliante. Il cielo tinto di un azzurro profondo. La fascia etnea pedimontana, al di fuori dei centri urbani, è ricca di ruderi costruiti chissà quanti anni fa in mezzo alle campagne, tra vigneti e campi assolati. Molti gli edifici abbandonati, un tempo dimore estive di ricchi possidenti, che affacciano lungo la strada: nonostante le crepe e le balconate pericolanti, queste mura conservano un fascino indiscutibile.
La Vespa fa il suo lavoro sempre generosamente, anche quando la pendenza dell’asfalto soffoca il motore in quarta marcia. I colori dell’Etna esplodono e al bivio di Lavinaio Monterosso per Trecastagni incontro la prima di una lunga serie di bancarelle di frutta: cirasa (ciliege), sbergi (pesche bianche), pèssichi (pesche gialle), piricocu (albicocche), tutte riposte ordinatamente in recipienti gialli e cesti di vimini. Il fruttaiolo (Mastro Antonio, come recita l’insegna fai da te) ammira la Vespa e finisce col raccontarmi che a casa conserva orgogliosamente un esemplare ancora marciante risalente a 50 anni fa! Da qui in poi, per almeno un chilometro, ai margini della strada è un susseguirsi di venditori ambulanti locali che espongono in bella mostra coloratissima frutta di stagione.
Eccomi a Fleri. Parcheggio il Bajai davanti la suggestiva Chiesa di Maria Santissima del Rosario. Ricordo ancora nitidamente quando nel 1984, a soli 10 anni, accompagnai mio padre, impegnato ad effettuare un reportage giornalistico, in questa frazione devastata da un grave terremoto di origine vulcanica. Allora gli interni e la preziosa facciata della chiesa erano irrimediabilmente lesionati, oggi tutto è stato orgogliosamente ristrutturato dai fleresi e accanto alla struttura originale sorge una nuova area, provocatoriamente differente dai canoni classici dell’architettura ecclesiastica. Nella piazzetta antistante il sagrato, una scena a cui non è raro assistere da queste parti: sotto il sole cocente, un uomo trafelato, circondato da cassette e bottiglie in PVC, fa il pieno d’acqua di sorgente a una fontana.
Sono già nel territorio di Zafferana, ma anzichè proseguire verso la cittadina celebre per il suo pregiato miele, imbocco la SP41 verso est. La strada torna ad essere in discesa ed è divertente dimenarsi tra freni a tamburo e cambio manuale, godendosi il tipico clack ad ogni cambiata. Il profilo del vulcano, caratterizzato dalla classica fumata bianca in cima al cratere centrale, è sempre lì alla mia sinistra, rassicurante e tranquillo. In pochi chilometri raggiungo S. Venerina: piazza Regina Elena è tutta un restauro, la chiesa è puntellata e circondata da ponteggi di sicurezza per proteggerla da malaugurati crolli e il municipio è un via vai di uomini accaldati dal passo tutt’altro che affrettato. Questa è una zona in cui operano diverse distillerie produttrici di liquiri tipici come rosolio, limoncello e il mitico Fuoco dell’Etna. Non essedo un gran bevitore, preferisco adare alla ricerca di un altro paradiso dei dolci tipici siciliani, la Pasticceria Russo. Purtroppo per il mio palato oggi è chiusa per ferie…
Lungo la via Stabilimenti scendo lungo la SS114. La strada è gradevole solo prima di raggiungere la periferia di Giarre, un enorme paesone circondato, a ridosso del casello dell’autostrada A18, da una vasta zona industriale. Lo scenario si fa arido: autoconcessionarie, distributori di carburante e rivenditori di materiale edile si susseguono con una frequenza impressionante. Fortuna che il mio bivio arriva dopo poche centiaia di metri: prima di arrivare in centro svolto a sinistra verso la frazione di Macchia, quindi sulla destra trovo l’indicazione per Sant’Alfio, la località che prende il nome da uno dei santi a cui la popolazione etnea è più devota. Ritorno a godermi la guida, lenta e panoramica, che più mi entusiasma, persino i furgoni sono più rapidi di me ad arrampicarsi lungo le curve della strada che conducono fino al rinomato “paese del castagno”. Chi se ne importa di subire sorpassi, quando al mio fianco, a scortarmi per diversi chilometri, c’è un panorama mozzafiato…
Il centro di Sant’Alfio mi attrae come una calamita, e visitarlo è davvero un’ottima idea. La facciata rustica della Chiesa Madre, completamente in scura pietra lavica, è uno spettacolo straordinario. Altrettanto entusiasmante è il panorama della costa jonica, da Taormina fino al golfo di Augusta, che si gode dal belvedere dell’attigua piazza Duomo. Il centro del paese a ora di pranzo è deserto: qualche giovinastro sulla porta del bar e un ufficio postale senza code nè numeretti mi fanno ripensare ai film di Sergio Leone.
La destinazione finale del mio breve viaggio si avvicina. Il luogo è una delle attrazioni principali della zona e attrae scolaresche, gruppi organizzati e orde di botanici da tutta Europa. Inforco la SP84, entro nel territorio del Parco dell’Etna, il bosco intoro a me si fa sempre più fitto. Un paio di curve e ho di fronte uno degli spettacoli più incredibili della natura: il plurimillenario Castagno dei Cento Cavalli, il più grande e famoso del nostro paese. Tutti i picciriddi etnei sono cresciuti con la celebre leggenda che narra di una misteriosa regina e dei suoi cento cavalieri, con rispettivi destrieri, che secoli orsono trovarono riparo da un temporale proprio sotto la chioma del mastodontico castagno. Parcheggio la Vespa proprio a ridosso dell’albero, sotto lo sguardo attento ma comprensivo del custode: per immortalare il castagno nella sua interezza sono costretto ad arretrare di circa 50 metri, tanto che nell’inquadratura non riesco più a distinguere la Vespa!
Resto qualche minuto in contemplazione sotto la fitta ombra delle sue foglie, accanto al gigantesco tronco. Percepisco la sua energia, il profumo della sua linfa. Ma soprattutto mi godo la frescura del rigoglioso sottobosco.
Il custode mi suggerisce di visitare un altra pianta secolare, radicata poco più sopra dell’area attrezzata principale, il Castagno Sant’Agata (della Nave), inaccessibile per la presenza di un muretto in pietra lavica ma di gran fascino sia per gli occhi, che ne scrutano il verde rigoglioso, sia per le orecchie, che odono il suono rilassante delle sue foglie agitate dalla brezza.
Decido di rientrare a Catania passando per Milo e discendendo tutti i paesi etnei del versante est, così torno indietro sulla via principale in direzione Fornazzo. E’ un tratto di strada che non avevo mai percorso prima o almeno non ricordo di averlo fatto. Un tratto breve ma davvero emozionante, specie quando in mezzo ai boschi comincio a scrutare le tracce scure dei tentacoli di lava recente. Un silenzio surreale, il profumo di zagara gialla che splende sotto i raggi del sole, nessuna costruzione ai margini della strada. Prima del bivio con la SP59, accedo a quello che mi sento di definire uno dei belvedere più eccezionali mai goduti in vita mia! Insieme si fondono tutti gli elementi: vegetazione, deserto lavico, terra, centro urbano (quello di Giarre), mare e cielo. Non credo che esistano molte parti del mondo dove poter ammirare un simile splendore.
Come in tutti i percorsi, dopo la salita arriva sempre la discesa e in questo caso è la più divertente che potessi condividere con la mia Vespa: il tratto della statale da Milo a Zafferana, con curve e tornanti che attraversano il bosco, è da sballo e persino con la ciclistica e l’impianto frenante limitati del Bajai riesco a godermela alla grande con pieghe e mezzi traversi degni di un ragazzino in sella a una Cagiva Mito!
Oggi ho imparato due cose. Che non è mai troppo tardi per saltare in sella e fare un giro in moto o in Vespa per ritrovare uno sprazzo di serenità; e che d’estate, specie se si è sforniti di abbigliamento tecnico, è sempre bene portare nel bauletto un flacone di crema protettiva per combattere il solleone: la gita al Castagno dei Cento Cavalli mi ha lasciato in eredità due braccia rosse come il fuoco dell’Etna!
Uscendo dal paese, in direzione nord, lungo la SP8, non posso fare a meno di fermarmi davanti a una storica officina meccanica, entrata nel mio personale immaginario sin da quando ero bambino, la Carrozzeria Faro. Sarò passato da qui migliaia di volte nella mia vita e, parcheggiate davanti la rimessa o all’interno del garage, ho sempre ammirato le auto d’epoca più belle di sempre, di cui, evidentemente, il titolare è esperto restauratore. Anche stavolta la mia passione non resta delusa: dalla strada riesco a scorgere una Lancia Beta Coupè e una rara Fiat 850 Sport.
La provinciale è poco trafficata e, d’altronde la giornata afosa non stimola certo a starsene in giro senza ragione. La luce è forte e abbagliante. Il cielo tinto di un azzurro profondo. La fascia etnea pedimontana, al di fuori dei centri urbani, è ricca di ruderi costruiti chissà quanti anni fa in mezzo alle campagne, tra vigneti e campi assolati. Molti gli edifici abbandonati, un tempo dimore estive di ricchi possidenti, che affacciano lungo la strada: nonostante le crepe e le balconate pericolanti, queste mura conservano un fascino indiscutibile.
La Vespa fa il suo lavoro sempre generosamente, anche quando la pendenza dell’asfalto soffoca il motore in quarta marcia. I colori dell’Etna esplodono e al bivio di Lavinaio Monterosso per Trecastagni incontro la prima di una lunga serie di bancarelle di frutta: cirasa (ciliege), sbergi (pesche bianche), pèssichi (pesche gialle), piricocu (albicocche), tutte riposte ordinatamente in recipienti gialli e cesti di vimini. Il fruttaiolo (Mastro Antonio, come recita l’insegna fai da te) ammira la Vespa e finisce col raccontarmi che a casa conserva orgogliosamente un esemplare ancora marciante risalente a 50 anni fa! Da qui in poi, per almeno un chilometro, ai margini della strada è un susseguirsi di venditori ambulanti locali che espongono in bella mostra coloratissima frutta di stagione.
Eccomi a Fleri. Parcheggio il Bajai davanti la suggestiva Chiesa di Maria Santissima del Rosario. Ricordo ancora nitidamente quando nel 1984, a soli 10 anni, accompagnai mio padre, impegnato ad effettuare un reportage giornalistico, in questa frazione devastata da un grave terremoto di origine vulcanica. Allora gli interni e la preziosa facciata della chiesa erano irrimediabilmente lesionati, oggi tutto è stato orgogliosamente ristrutturato dai fleresi e accanto alla struttura originale sorge una nuova area, provocatoriamente differente dai canoni classici dell’architettura ecclesiastica. Nella piazzetta antistante il sagrato, una scena a cui non è raro assistere da queste parti: sotto il sole cocente, un uomo trafelato, circondato da cassette e bottiglie in PVC, fa il pieno d’acqua di sorgente a una fontana.
Sono già nel territorio di Zafferana, ma anzichè proseguire verso la cittadina celebre per il suo pregiato miele, imbocco la SP41 verso est. La strada torna ad essere in discesa ed è divertente dimenarsi tra freni a tamburo e cambio manuale, godendosi il tipico clack ad ogni cambiata. Il profilo del vulcano, caratterizzato dalla classica fumata bianca in cima al cratere centrale, è sempre lì alla mia sinistra, rassicurante e tranquillo. In pochi chilometri raggiungo S. Venerina: piazza Regina Elena è tutta un restauro, la chiesa è puntellata e circondata da ponteggi di sicurezza per proteggerla da malaugurati crolli e il municipio è un via vai di uomini accaldati dal passo tutt’altro che affrettato. Questa è una zona in cui operano diverse distillerie produttrici di liquiri tipici come rosolio, limoncello e il mitico Fuoco dell’Etna. Non essedo un gran bevitore, preferisco adare alla ricerca di un altro paradiso dei dolci tipici siciliani, la Pasticceria Russo. Purtroppo per il mio palato oggi è chiusa per ferie…
Lungo la via Stabilimenti scendo lungo la SS114. La strada è gradevole solo prima di raggiungere la periferia di Giarre, un enorme paesone circondato, a ridosso del casello dell’autostrada A18, da una vasta zona industriale. Lo scenario si fa arido: autoconcessionarie, distributori di carburante e rivenditori di materiale edile si susseguono con una frequenza impressionante. Fortuna che il mio bivio arriva dopo poche centiaia di metri: prima di arrivare in centro svolto a sinistra verso la frazione di Macchia, quindi sulla destra trovo l’indicazione per Sant’Alfio, la località che prende il nome da uno dei santi a cui la popolazione etnea è più devota. Ritorno a godermi la guida, lenta e panoramica, che più mi entusiasma, persino i furgoni sono più rapidi di me ad arrampicarsi lungo le curve della strada che conducono fino al rinomato “paese del castagno”. Chi se ne importa di subire sorpassi, quando al mio fianco, a scortarmi per diversi chilometri, c’è un panorama mozzafiato…
Il centro di Sant’Alfio mi attrae come una calamita, e visitarlo è davvero un’ottima idea. La facciata rustica della Chiesa Madre, completamente in scura pietra lavica, è uno spettacolo straordinario. Altrettanto entusiasmante è il panorama della costa jonica, da Taormina fino al golfo di Augusta, che si gode dal belvedere dell’attigua piazza Duomo. Il centro del paese a ora di pranzo è deserto: qualche giovinastro sulla porta del bar e un ufficio postale senza code nè numeretti mi fanno ripensare ai film di Sergio Leone.
La destinazione finale del mio breve viaggio si avvicina. Il luogo è una delle attrazioni principali della zona e attrae scolaresche, gruppi organizzati e orde di botanici da tutta Europa. Inforco la SP84, entro nel territorio del Parco dell’Etna, il bosco intoro a me si fa sempre più fitto. Un paio di curve e ho di fronte uno degli spettacoli più incredibili della natura: il plurimillenario Castagno dei Cento Cavalli, il più grande e famoso del nostro paese. Tutti i picciriddi etnei sono cresciuti con la celebre leggenda che narra di una misteriosa regina e dei suoi cento cavalieri, con rispettivi destrieri, che secoli orsono trovarono riparo da un temporale proprio sotto la chioma del mastodontico castagno. Parcheggio la Vespa proprio a ridosso dell’albero, sotto lo sguardo attento ma comprensivo del custode: per immortalare il castagno nella sua interezza sono costretto ad arretrare di circa 50 metri, tanto che nell’inquadratura non riesco più a distinguere la Vespa!
Resto qualche minuto in contemplazione sotto la fitta ombra delle sue foglie, accanto al gigantesco tronco. Percepisco la sua energia, il profumo della sua linfa. Ma soprattutto mi godo la frescura del rigoglioso sottobosco.
Il custode mi suggerisce di visitare un altra pianta secolare, radicata poco più sopra dell’area attrezzata principale, il Castagno Sant’Agata (della Nave), inaccessibile per la presenza di un muretto in pietra lavica ma di gran fascino sia per gli occhi, che ne scrutano il verde rigoglioso, sia per le orecchie, che odono il suono rilassante delle sue foglie agitate dalla brezza.
Decido di rientrare a Catania passando per Milo e discendendo tutti i paesi etnei del versante est, così torno indietro sulla via principale in direzione Fornazzo. E’ un tratto di strada che non avevo mai percorso prima o almeno non ricordo di averlo fatto. Un tratto breve ma davvero emozionante, specie quando in mezzo ai boschi comincio a scrutare le tracce scure dei tentacoli di lava recente. Un silenzio surreale, il profumo di zagara gialla che splende sotto i raggi del sole, nessuna costruzione ai margini della strada. Prima del bivio con la SP59, accedo a quello che mi sento di definire uno dei belvedere più eccezionali mai goduti in vita mia! Insieme si fondono tutti gli elementi: vegetazione, deserto lavico, terra, centro urbano (quello di Giarre), mare e cielo. Non credo che esistano molte parti del mondo dove poter ammirare un simile splendore.
Come in tutti i percorsi, dopo la salita arriva sempre la discesa e in questo caso è la più divertente che potessi condividere con la mia Vespa: il tratto della statale da Milo a Zafferana, con curve e tornanti che attraversano il bosco, è da sballo e persino con la ciclistica e l’impianto frenante limitati del Bajai riesco a godermela alla grande con pieghe e mezzi traversi degni di un ragazzino in sella a una Cagiva Mito!
Oggi ho imparato due cose. Che non è mai troppo tardi per saltare in sella e fare un giro in moto o in Vespa per ritrovare uno sprazzo di serenità; e che d’estate, specie se si è sforniti di abbigliamento tecnico, è sempre bene portare nel bauletto un flacone di crema protettiva per combattere il solleone: la gita al Castagno dei Cento Cavalli mi ha lasciato in eredità due braccia rosse come il fuoco dell’Etna!
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Informazioni utili:
Costi del viaggio: carburante 5,50 euro
Chilometri percorsi: 68
1 comment for “Sicilia: In Vespa al Castagno dei Cento Cavalli – Sant'Alfio (CT)”