“Vicende del Risorgimento e dell’unità d’Italia nell’area etnea” è il titolo della lezione magistrale che il prof. Giovanni Vecchio, storico, giornalista e scrittore, ha sapientemente tenuto sabato 21 Maggio 2011 presso i locali di Villa Immacolata di Tremestieri Etneo, grazie alla organizzazione della associazione culturale “Amigdala” ed al cortese e costruttivo interessamento del sindaco dott. Nino Basile e del presidente del consiglio comunale dello stesso comune, dott. Santi Rando. Ricordando il 150° anniversario della Unità d’Italia, il prof. Vecchio, anche con l’ausilio di documenti, immagini, filmati e canti popolari, ha ripercorso le vicende dal 1848 al 1870 e oltre, addentrandosi con ricercata maestria in rievocazioni storiche anche non conosciute, perché non riportate dai libri o affrontate solo superficialmente ma che ci riguardano da vicino perché collegano la grande storia con la microstoria con particolare attenzione al territorio etneo. Si comincia con gli avvenimenti del 1848 – 49, ovvero la rivolta antiborbonica in Sicilia, scoppiata a Palermo il 12 Gennaio 1848 e diffusasi in tutta l’isola, comprese Catania e Acireale e il suo distretto. Tale collaborazione tra le due città, eterne rivali, si tradusse nell’omaggio dei catanesi agli acesi della bandiera tricolore e della spada nel corso di una cerimonia ufficiale nella sede del Senato della città di Aci e Galatea, durante la quale fu letto un componimento poetico esaltante la ritrovata intesa nella rivoluzione.
In quella circostanza si raccolsero fondi per sostenere il governo costituzionale e si invitarono i cittadini a sostenere “con animo fermo e risoluto la fede generosamente accesa dalla siciliana libertà”. Con precisione chirurgica e sicurezza di conoscenza, il prof. Vecchio riesce a circostanziare nomi, luoghi, date ed eventi, trasmettendo al pubblico presente numeroso, non soltanto l’interesse per quanto narrato, ma anche la curiosità dei confronti e la passione per le novità.
Così l’illustre relatore volteggia per i luoghi etnei senza soluzione di continuità, conoscitore raffinato degli eventi tracciati.
Anche nell’area del comune di Zafferana si formò, nel 1848, un comitato rivoluzionario e fu istituita la Guardia Nazionale. Partecipe dei fatti storici, sottolinea il prof. Vecchio, la borghesia giarrese plaudì alla rivoluzione del 1848 e il 27 gennaio innalzò anch’essa il tricolore. Quando il 13 aprile il parlamento siciliano dichiarò decaduta la dinastia borbonica, rifiutando la costituzione unitaria che il parlamento di Napoli voleva imporgli, si insediò il Comitato di Interna sicurezza. Ma quando il generale borbonico Carlo Filangieri il 2 aprile 1849 sbarcò a Riposto con un esercito di 18.000 uomini, due giorni dopo, acclamato dalla folla nel percorso da Giarre ed Acireale, giunse in quest’ultima città dove, nonostante gli appelli dei rivoluzionari a fare le barricate “i fedeli borbonici di Aci si fecero incontro al Filangieri protestando la loro fede e quella della città, al Monarca”.
Chiara la contrapposizione di caratteri e comportamenti che il prof. Vecchio sa rendere scorrevole e comprensibile con linguaggio semplice e delicatamente narrativo, senza comunque disdegnare ammiccamenti verbali a fatti particolarmente salienti e dimostrativi, come quando ricorda il fatto che nel corso del 1849 il governo borbonico riprese progressivamente in mano la situazione politico-amministrativa dei comuni in tutta l’isola e, conseguentemente, furono sciolti d’autorità tutti i comitati rivoluzionari dando inizio ad un periodo di repressione con diverse condanne e l’esilio per diversi patrioti. Come dire, tanto rumore per nulla. I precedenti amministratori ripresero il loro posto e l’ordine borbonico ritornò ovunque. La popolazione contadina e le classi più umili in genere, che speravano in un miglioramento della loro condizione, erano in gran parte però fedeli al re borbone, il quale assicurava altresì l’intesa tra potere politico e la chiesa cattolica, che aveva portato, tra l’altro, il 27 Giugno 1844, all’istituzione della Diocesi di Acireale.
In un continuum di intrecci storici ed avvenimenti politici contrapposti, continua il prof. Vecchio, si arriva al periodo per noi più importante per quanto riguarda gli sviluppi sociali che avrebbero caratterizzato i tempi successivi: l’11 Maggio 1860 Garibaldi con i suoi “Mille” era sbarcato a Marsala (aiutato dalla presenza di due navi inglesi) e si accingeva a liberare ( o a conquistare per un’altra monarchia) l’isola. A Catania le truppe borboniche si ritirarono fra il giorno e la notte del 3 giugno, dopo stragi, incendi e saccheggi.
Il relatore, a tal proposito, ha ricordato la figura di Beppa ‘a cannunera, una popolana catanese che il 31 maggio 1860 riuscì a impossessarsi di un cannone borbonico lasciato incustodito e riuscì a disperdere le truppe borboniche.
Il plebiscito segnò il passaggio della dinastia dei Borboni a quella dei Savoia Bisognava esprimersi pubblicamente con un Si o con un NO sul seguente quesito: “Il popolo siciliano vuole l’Italia una e indivisibile, con Vittorio Emanuele Re Costituzionale e i suoi legittimi discendenti”. Il 15 ottobre furono costituite le varie commissioni elettorali e il 21 ottobre 1860 si svolse il plebiscito: ad Acireale, su 5782 votanti, i voti favorevoli furono 5743; a Zafferana 643 furono i Sì a fronte di 660 votanti. In tutta l’isola i Sì all’annessione furono 432.053 contro appena 667 No. E chiarisce che il plebiscito si svolgeva pubblicamente con due urne con il Sì e il No poste in luogo pubblico; nulla a che vedere con il referendum previsto dalla Costituzione Italiana del 1° gennaio 1948.
Acuto ed attento ai particolari, destando sempre più viva l’attenzione dei presenti, il prof. Vecchio continua la sua analisi con precisi riferimenti: costituito ufficialmente il Regno d’Italia il 17 marzo 1861 e scelto l’accentramento rispetto alle varie proposte di decentramento regionale,dopo un periodo iniziale di quasi inerzia, dovuto più che altro alle notevoli difficoltà incontrate dai nuovi funzionari piemontesi nel rapportarsi dialetticamente con gli elementi locali, subentrò un periodo alquanto difficile in cui le autorità centrali si trovarono alle prese con gravi problemi tra cui un deficit statale pauroso, per cui temettero per l’esistenza stessa del regno da poco costituito, ed iniziarono a rastrellare fondi ovunque e con tutti i mezzi possibili. Da ciò, ecco le leggi pesanti e parziali sullo scorporo delle proprietà ecclesiastiche del 1866-67, con risultati devastanti nel tessuto sociale meridionale in genere, compromettendo ulteriormente la già difficile precarietà di tante famiglie che vivevano all’ombra delle case religiose, impoverendosi ancora di più. L’imposta erariale dei terreni aumentò del sessanta per cento, quella del registro dell’ottanta per cento. Il meridionalista Giustino Fortunato calcolò che la Sicilia, mentre nel 1858 pagava ai Borboni in tutto lire 40.781.750 di tasse, nel 1898 arrivò a 187.854.490 ed era stato distrutto il sistema fiscale precedente, sostanzialmente leggero. Crollarono anche le industrie meridionali, in precedenza sostenute dal governo borbonico, che non ressero alla concorrenza e ai protezionismi post-unitari, salvo il caso dei Florio. Altra tassa odiosa e gravante generalmente sui ceti più poveri, fu quella sul macinato, che era stata eliminata da Garibaldi e fu introdotta nel 1869 dal ministro delle Finanze Quintino Sella, preoccupato di raggiungere il pareggio di bilancio. Non secondario il fatto che molti fondi raccolti o rastrellati con tasse o in altro modo, furono dirottati in massima parte per il finanziamento delle prime strutture industriali di diverse regioni del nord: tutto ciò fu possibile anche per la incapacità di reagire da parte di molti uomini politici siciliani o meridionali in genere che non seppero lottare al fine di riportare al sud almeno una parte dei fondi raccolti, lasciando gemente non solo l’economia agricola, ma anche quella industriale, che per altro già esisteva (pensiamo all’industria dello zolfo, del vino e dell’olio). Inoltre la moneta sonante borbonica venne sostituita con la cartamoneta, da molti assimilata alla carta straccia con proteste popolari.
Ulteriore tegola sulle difficili condizioni politico-amministrative fu la coscrizione obbligatoria del servizio militare, imposto per la durata di ben otto anni (poi ridotti a quattro), che allontanò dai campi le giovani braccia, lasciando desolate famiglie intere. Molti si diedero alla macchia e furono braccati come briganti e in migliaia fucilati per renitenza alla leva e brigantaggio. Altre importanti problematiche dell’epoca riguardano la promiscuità delle terre, di cui Giuseppe Garibaldi con il Decreto dittatoriale del 2 giugno 1860 aveva disposto la censuazione, che suscitò resistenze ed enormi disparità di assegnazione e gestione, tenuto conto che le amministrazioni locali che avrebbero dovuto provvedere erano in mano dei signori che avevano in buona parte assimilato a loro proprietà le terre demaniali; non si provvide alla quotizzazione dovuta e ciò scatenò dimostrazioni e scontri in tanti centri, fra cui Maletto, Randazzo e Castiglione. A Biancavilla e Bronte si arrivò ad uccidere i proprietari-amministratori che si opponevano con cavilli alla divisione delle terre demaniali. Riferito della repressione dei moti di Bronte da parte del vice di Garibaldi Nino Bixio con la fucilazione dell’avv. Lombardo e di alcuni popolani, il relatore ha fatto cenno ai molti arrestati di tutta l’area etnea, rinchiusi nel carcere distrettuale di Acireale e condannati a lunghe pene detentive dal Tribunale acese. Tra fine luglio e i primi giorni di agosto, infatti, ci furono le rivendicazioni con manifestazioni pubbliche a Randazzo e in molte altre località, nonostante le fucilazioni che aveva ordinato Nino Bixio a Bronte qualche giorno prima. Così, in sintesi, la storia riguardante i paesi etnei negli anni intorno al 1860; così la conoscenza del prof. Vecchio dei particolari esposti, fino a creare, quasi, l’atmosfera sanguigna e articolata del periodo narrato.
Alcune curiosità finali: nel 1861, anno della proclamazione del Regno d’Italia, Catania contava 68810 abitanti, Tremestieri ne contava 1176, Viagrande 2933, Bronte 12092, Paternò 15308, Acireale 35447. Naturalmente la storia riserva molti altri particolari che, solo ad accennarli, non basterebbe tutto un volume; la sagacia e la competenza del prof. Vecchio ha saputo, comunque, concentrarli in un riuscito ed apprezzato tentativo di riproposizione sinottica.
Salvatore Di Dio