“Calare le brache (o braghe)”: questa espressione, usata ieri da una parlamentare durante un dibattito televisivo, non necessita di spiegazioni né per quanto riguarda il suo significato letterale né il suo uso traslato come metafora. Può essere interessante invece sapere che essa ha un precedente letterario, illustre e insospettabile, nel primo capitolo dei Promessi Sposi del buon Alessandro Manzoni. Don Abbondio, reduce dal funesto incontro con i ‘bravi’, racconta il ‘miserabile caso’ a Perpetua, la serva padrona e confidente. Costei consiglia al curato di riferire l’accaduto ai suoi superiori. Di fronte alle ripulse del padrone, terrorizzato dalle minacciate eventuali schioppettate, e alle sue richieste di tacere, ella sbotta: “Io taccio subito; ma è però certo che, quando il mondo s’accorge che uno, sempre, in ogni incontro, è pronto a calare le…” I puntini di reticenza sono l’ultima barriera, pronta a cadere, posta all’ingresso nella lingua letteraria di espressioni, anche forti, del linguaggio comune, operazione che in Italia comincia con il Manzoni. Nello stesso capitolo, qualche rigo sopra, a proposito dello stato nubile di Perpetua oltre i quarant’anni, lo scrittore lombardo aveva detto che ciò era avvenuto, secondo le sue amiche, “per non aver mai trovato un cane che la volesse”. L’autorità del Manzoni dunque conforta la parlamentare nell’uso di questa espressione, purché non ne derivi un abuso, facendo di essa, come spesso accade, un ‘tormentone’, sgradevole. Per quanto riguarda la replica del suo interlocutore nel dibattito, un altro onorevole, di questa non ho trovato, almeno io, nessun precedente letterario.