Un banale intervento maxillo-facciale dopo il quale, il quarantaduenne architetto di Catania, Giuseppe Marletta, avrebbe dovuto tornare a vivere il suo ordinario quotidiano, riabbracciando così la sua famiglia e riprendendo tranquillamente a lavorare.
Un anno di calvario in cui, la moglie di Giuseppe, Irene Sampognaro, madre di due bambini ancora piccoli, protesta contro la malasanità e le cure negate a suo marito, accendendo, frattanto, l’ipotesi di praticargli l’eutanasia all’estero, nel caso in cui vengano protratte le cure e l’assistenza del tutto inadeguate al caso.
Sensibili a questo caso di malasanità avvenuto presso l’Ospedale Garibaldi di Nesima a Catania, Oggimedia incontra la Sig.ra Irene Sampognaro, per far luce sulla triste ed inspiegabile vicenda che ha coinvolto suo marito Giuseppe e, di concerto, tutta la sua famiglia.
Sig.ra Irene, cosa accadde il primo giugno di un anno fa?
«È stato compiuto un eclatante errore medico prima, durante e dopo l’intervento. Un errore di diagnosi in quanto mio marito è stato sottoposto ad un intervento inutile. Giuseppe soffriva di sinusite e l’otorino consigliò di intervenire sulla rimozione dei punti di sutura per eliminare definitivamente la sinusite. Dopo l’intervento, entra in coma irreversibile in seguito ad un arresto cardiaco durato sette minuti. Rianimato con notevole ritardo, subisce dei danni celebrali poiché non è arrivato ossigeno al cervello. Dalle lastre effettuate successivamente, si rileva che la sinusite di Giuseppe persiste, per questo è stata un’operazione inutile perché a monte è stata compiuta una diagnosi sbagliata. Dopo due mesi in rianimazione, Giuseppe è stato trasferito nell’Unità di Risveglio dell’Ospedale Giglio di Cefalù. Dopo sei mesi di terapia, alle dimissioni, Giuseppe riportava una piaga sacrale di quarto stadio: inguardabile».
Adesso, Giuseppe, dov’è ricoverato?
«Giuseppe è ricoverato a Viagrande (CT), in una struttura assistita. I medici continuano a curare la piaga».
Sig.ra Irene, pensa che suo marito abbia bisogno di cure più appropriate?
«Giuseppe, in un anno, non ha ricevuto cure adeguate al suo caso. Nonostante i medici mi abbiano detto di mettermi il cuore in pace, non mi sono arresa; da diverse ricerche approfondite, ho potuto capire che in Italia non ci sono cure ed assistenze adeguate ma all’estero si, perché si fa sperimentazione; in Israele, lo scienziato russo Vitaly Vassilew, cura per l’appunto i casi vegetativi. Voglio provare ad andare ma tutto questo ha un costo notevole. Abbiamo subìto un danno dalle Istituzioni per questo motivo devono essere loro a prendersi carico dei costi delle cure per mio marito».
La mattina del primo giugno scorso, ha manifestato davanti all’Ospedale Garibaldi, “urlando” giustizia per suo marito, cure adeguate ed eventuale eutanasia, riscuotendo così, una forte risonanza a livello nazionale. In seguito alla sua manifestazione, Le hanno dato precise risposte?
«Esprimo solo indignazione nei confronti dell’Ospedale Garibaldi perché, il Direttore Generale, l’unica cosa che ha detto è stata: “Può succedere“. Ho fatto un esposto alla Procura della Repubblica. Sono state immediatamente sequestrate le cartelle cliniche. Mi hanno anche riferito che l’Ospedale Garibaldi avrebbe aperto un’inchiesta interna però, a distanza di un anno, non ho avuto alcuna risposta legale sia per l’inchiesta interna sia per quella portata avanti dalla magistratura. L’interesse dell’Ospedale Garibaldi è quello di tutelare il suo buon nome e, quindi, di coprire ed insabbiare tutto; a distanza di un anno, non è stato preso alcun provvedimento nei riguardi dei “signori col camice bianco“. La responsabilità c’è ed è oggettiva; per me sono colpevoli di quello che è accaduto e, quindi, devono pagare. Io voglio giustizia, esigo delle risposte perché un giovane uomo, padre di famiglia, è stato strappato all’amore e all’affetto dei propri cari».
L’idea di portare all’estero suo marito per praticargli l’eutanasia, è solo una provocazione?
«In un momento di enorme sconforto dico che sono per la vita però, se Giuseppe continua a vegetare come Eluana Englaro, è meglio la morte. Credo nella sperimentazione e spero di averla trovata nella cura in Israele oppure, non lo so, poi si vedrà».
Come pensa di continuare la battaglia per aiutare suo marito e per ottenere giustizia?
«La giornata del primo giugno al Garibaldi è stata solo l’inizio di una lunga battaglia. Anche se vivo questa tragedia ho scelto di non subire in silenzio. Ho trasformato il mio immenso dolore in una forza che mi fa andare avanti e lottare per la giustizia».