E’ il tema proposto dalla dott.ssa Salvina Artale, psicologa, psicoterapeuta, che ha dato il titolo alla conferenza tenuta presso i locali del centro diurno di Viagrande, organizzata dalla associazione culturale “Amigdala”.
Ispirandosi alla concezione junghiana, affascinante e articolata, degli archetipi e della “Grande Madre”, la d.ssa Artale ha percorso il lungo cammino della teoria del femminile in modo chiaro e composto, riuscendo a trasmettere al numeroso pubblico intervenuto i segreti della costruzione della psicologia del grande antropologo e psicanalista svizzero, nato nel 1875 e morto nel 1961. Si comincia con la definizione di Archetipo: ”è la condizione a priori di un modello di comportamento biologico e psichico”, esprimente la caratteristica di fondere in sé sia gli aspetti positivi che quelli negativi, reggendosi su una specifica intuizione , ovvero la “coincidentia oppositorum”. L’archetipo dirige ed orienta il comportamento inconscio, il materiale psichico e gli istinti; il carattere simbolico dell’immagine, per questo, si imprime nella coscienza con forze “numinose”, cioè il cui senso è ignoto o non ancora noto, si trasforma in una forza che affascina la coscienza del soggetto, come nel caso dell’esperienza che la coscienza fa di quell’altro da sé che è l’inconscio, per cui l’uomo primitivo, come ancora oggi il bambino, esperisce nella donna l’archetipo della Grande Madre. Un richiamo esplicativo è consequenziale e ci porta all’Homo erectus quando, messosi in posizione eretta, fu in grado di osservare con emozione di stupore, la volta celeste, rendendosi conto che in essa, ad esempio, c’è un astro freddo che ha la curiosa proprietà di crescere, sparire per tre notti e poi ricrescere nuovamente: in sintesi, una sorta di anticipazione del processo analogico morte – nascita – morte – rinascita. Lo stesso homo erectus si rese poi conto del ciclo che porta il sole a nascere ad oriente e tramontare ad occidente; non essendo però edotto in astronomia, egli pensò che il sole facesse un percorso notturno, un viaggio di sofferenza, colmo di rischi, per finalmente riuscire alla luce ed albeggiare nuovamente ad oriente.
Questo uomo si rese conto così dei ritmi cosmici, dei processi naturali e dei suoi misteri: ecco i presupposti sui quali si è costituito un impianto simbolico. Gli orfici dicevano che la dea dell’oscurità era stata fecondata dal vento e nell’oscurità aveva deposto un uovo d’argento; da questo uovo era nato Eros che mise in moto l’Universo. La dea lunare, la dea dell’astro freddo, è stata una delle prime divinità dell’uomo primitivo. La stretta similitudine tra la luna e la donna portò gli uomini primitivi a pensare che questa fosse fecondata dall’astro freddo, per cui, per alcune popolazioni, l’unico compito che spettava agli uomini era di rompere l’imene, affinchè la donna potesse essere, poi, fecondata dalla luna. Per questo, nei periodi di maggiore fertilità insorse un tabù, per cui si dovevano nascondere od allontanare le donne mestruate dai raggi lunari in modo che la luna non le potesse fecondare. In questo senso, il tabù permetteva agli uomini di “non essere distratti” dall’estro delle donne e quindi dai loro compiti: la guerra e la caccia e le donne trovavano questa occasione per potersi “riposare”, per non essere disturbate da quei momenti in cui necessitano di isolarsi, di stare in silenzio, di meditare. Quindi fertilità e riposo erano legati al tabù: infatti, fino a pochi anni fa era ancora ben presente nella nostra cultura il fatto che le donne non toccavano le piante o non preparavano alcuna pietanza nel periodo della mestruazione.
Nell’evoluzione la dea luna, ha sottolineato acutamente la d.ssa Artale, divenne una figura femminile vera e propria, rappresentata con carnato chiaro ( luna piena) e con carnagione “nera” (la luna che veniva a mancare per tre giorni); la luna con il viso bianco, cioè la luna piena, per i greci, era la dea Selene, ritenuta portatrice di fertilità, di vita, colei che insegnava agli uomini le magie, i segreti e le alchimie della natura. La luna nera era l’aspetto distruttivo, ctonio, infero: ecco la conferma più tipica che l’armonia psichica è determinata dalla compresenza degli opposti, ovvero la “coincidentia oppositorum”. La donna o la sirena che ancora adesso è parte integrante del nostro immaginario e che rappresenta un lato del femminile, è colei che ammalia, che sconvolge, che travolge l’uomo, ma che non resta sconvolta, a sua volta, che segue un suo preciso progetto mentale, che porta avanti soltanto il suo potere femminile e distruttivo; mentre nell’aspetto creativo rappresenta l’intuito, la capacità di andare oltre l’apparenza, di prevedere il futuro. Come affermava saggiamente E. Neumann: “Noi siamo dentro la natura, noi siamo Natura”: quindi, le dee lunari sono la rappresentazione simbolica del nostro più intimo essere, basterebbe seguirle e assecondarle per ritrovare in armonia le proprie origini. Per gli uomini l’istanza femminile e lunare è inconscia, tant’è che a livello cosciente essi sono caratterizzati più dal logos, dal pensiero razionale ragion per cui non sempre riescono a comprendersi con le donne. Inoltre, se durante la sua crescita psichica l’uomo non riesce a distaccarsi, a tradire l’archetipo della Grande Madre, egli non riuscirà mai a differenziarsi da essa, anzi ne verrà fagocitato, divorato e distrutto, non sarà in grado di divenire un individuo autonomo e, appunto, differenziato. Eich Neumann, per descrivere l’archetipo della Grande Madre, parte dallo sviluppo dell’Uroboro (immagine del serpente circolare) che è il simbolo della situazione psichica originaria, dove sia la coscienza che l’Io non si sono ancora sviluppati e dove governa il caos tra gli elementi opposti: positivo e negativo, femminile e maschile.
Dall’archetipo primordiale, continua la d.ssa Artale, scaturisce la forma della Grande Madre in cui si va definendo un ordinamento degli elementi positivi e negativi nella triplice forma della Madre Buona (Sophia, figura giudaico-cristiana (che rappresenta la saggezza), Madre Terribile (Gorgone, figura greca, il cui sguardo pietrifica) e Grande Madre, che consente l’unificazione degli elementi positivi e negativi, (Iside, figura egizia). Nel prosieguo della sua relazione, la d.ssa Artale richiama, con circostanziata evidenzia, molti elementi che caratterizzano gli aspetti del femminile: il carattere elementare, in cui l’io e la coscienza sono poco sviluppati e deboli, l’individuo si caratterizza per assenza d’iniziativa, indebolimento della volontà delle fantasie di morte e di fallimento, e il carattere trasformatore, basato sul fondamento del divenire, del movimento, del cambiamento, della trasformazione.
Il carattere elementare si esperisce con il legame tra madre e bambino, legame indissolubile. Il carattere trasformatore porta inquietudine, in generale, ma in particolare nella donna si esperisce in modo molto naturale, con la comparsa del sangue mestruale, con la gravidanza e l’allattamento.
Infine, rimarca la d.ssa Artale, nel trattare questo tema alquanto complesso, lo svilupparsi della coscienza è sempre un processo inconscio e significativo per l’individuo ma anche per la collettività. Ogni attività essenziale e vitale aveva per l’uomo primitivo un valore sacro e come tale c’era da rispettare un rituale segreto, proprio per la sua caratteristica divina.
Da un punto di vista analitico, Jung evidenzia tipi di situazioni e figure che ricorrono più spesso nei sogni e nelle fantasie, come: l’Ombra, il Fanciullo, la Madre (madre primordiale e terra madre), quale personalità demoniaca e l’opposta corrispondenza, la Fanciulla ed infine l’Anima e l’Animus degli uomini e delle donne. Come già detto, le figure psichiche hanno come carattere essenziale l’essere doppie, cioè bipolari e oscillano dal significato positivo a quello negativo. Una figura doppia femminile è quella della madre–figlia (vedi il mito di Demetra e Kore). Jung denomina “Sé” la personalità sopraordinata distinguendolo dall’Io, che arriva solo fino a dove arriva la coscienza, mentre il Sé comporta la totalità della personalità.
La psiche preesistente alla coscienza, conclude la d.ssa Artale, ha una parte materna, mentre l’altra si prolunga nella psiche della figlia, quindi ogni madre e ogni figlia contengono in se l’altro lato, materno e filiale totalizzante. Ciò da la sensazione dell’atemporalità e dell’immortalità e la singola vita si eleva sino all’archetipo. Naturalmente, Carl Gustav Jung rappresenta uno dei più profondi e complessi studiosi dell’”anima” e della “psiche”, fondendo nella sua interpretazione analitica conoscenze estremamente articolate e specifiche, che affondano le radici in varie discipline: dalla mitologia alle più diverse religioni, dalla medicina alla psicologia, dall’antropologia alla letteratura, all’occultismo.
Salvatore Di Dio