Scorrendo la bella scrittura di Autoritratto del maestro Elio Ruffo, la sensazione che la lettura suscita è che i concetti si tramutino immediatamente in immagini vivide e percepite nel loro naturale movimento. E’come stare proprio davanti ad un dipinto, uno di quei grandi affreschi o tele, che per cogliere nel suo insieme, seguendo lo svolgersi dei particolari, bisogna muovere lo sguardo. Se questo era l’intento dell’Autore, può dirsi pienamente raggiunto. Il racconto della parte formativa della sua vita, il ‘bulino’ che incide il carattere, si concretizza, come in un museo, in un progredire di quadri i cui soggetti variano dalla casa natale alla vita della ‘città vecchia’; dagli orrori della guerra alle stellate notti del deserto africano il cui silenzio ‘ascoltato’, dilatante e ammaliante, invitava alla meditazione; dalle pozzanghere delle viuzze cittadine, nelle quali sguazzavano i ‘monelli’, i carusi di strada, invidiati per la loro ‘libertà’, al mare aperto, prima placido, poi furente di tempesta, infine inondato dai colori di uno splendido tramonto. Seguire lo svolgersi delle immagini è uno dei piaceri che regala questo libro.
Ma questo è anche il libro di un pittore ‘erudito’, che ‘rivede’ il suo ‘essere stato’ alla luce della sua cultura artistica, che funziona come uno schema interpretativo della realtà. Ed ecco che il tranche de vie del quartiere dell’infanzia felice richiama la pittura di Guttuso, i monelli di strada ricordano un celebre quadro di Delacroix e le raffigurazioni del cinema neorealista, le donne somale la sensualità raffinata delle odalische di Ingres. Ma lascia un segno profondo la rappresentazione del dolore della guerra, assurdo e indicibile a parole, nella figura muta di un soldato ferito che invoca aiuto ed esprime la sua angoscia solo con lo sguardo: è ancora vivo, ma sembra il Cristo morto di tante ‘deposizioni’. Non è difficile pensare a Giovanni Bellini.
Tralasciando i riferimenti colti, ancora la guerra: solo gli occhi di un pittore possono ‘vedere’ a terra russa, la polvere rossastra che si spande intorno dagli edifici sbriciolati dai bombardamenti e che copre i corpi martoriati delle vittime. Per un pittore ogni sentimento, ogni sensazione si fa colore.
Ma il colore, anche il nero, è luce, vive nella luce. Essa è, a mio parere, la protagonista nascosta di questo libro. Lo rivela l’incipit: “La luce del mattino filtrava già prepotente fra le persiane…” E ancora di più questa descrizione della notte africana: “Poi era lo splendore della volta celeste che filtrando dalla finestra senza infissi, ammorbidiva il buio della notte che intravedevo, sdraiato sulla mia branda, attraverso la zanzariera”. Anche il buio della notte è oggetto di visione, attraversato dalla bianca, nitida, cristallina luce delle stelle. L’amore per la luce pervade tutto il libro e rivela un grande amore per la vita e per il mondo. Solo chi li ama molto, può imprimere nella memoria quanto ha vissuto e trasfigurarlo in un dipinto.
La pittura non è mai solo un fatto tecnico. La tecnica è certamente importante, come il continuo esercizio, il labor limae, ma questi non possono fare a meno dell’interiorità dell’artista. L’Autore di questo libro ci insegna che talvolta essa è fatta di nostalgia, sogno e speranza. La nostalgia è il sentimento del passato che non ritorna ma che tuttavia è ancora vivo nella memoria, il sogno è la parte più autentica e migliore dell’io, la speranza è il desiderio di lasciare nel mondo qualcosa di sé, che per un pittore non può essere che ‘progetti, pensieri, ricordi colorati’. Ecco, la speranza è ciò che non consegna la nostalgia alla solitudine e alla malinconia, perché
fa capire che il passato vive in quello che si è adesso e in quello che si farà domani, il sogno è il grande repertorio di idee e di immagini. Lo scavo dell’artista nella sua interiorità è ciò che rende l’arte non una mera mimesi, ma una mimesi creativa. La vita umana è segnata dal dubbio del ‘forse’ riguardo al valore della sua esistenza. Se da un lato questo ci protegge dal pericolo di eccessive certezze, dall’altro è proprio la funzione ‘ricreativa’, talvolta ‘riparatrice’, del reale, che l’arte svolge, a renderlo meno inquietante e più indulgente.
Elio Ruffo Autoritratto A&B Editrice Acireale-Roma, 2011