Una fisiologia dell’amore. “Il merlo della buganvillea” di Ignazio La Spina

Galeotto fu ’l libro e chi lo scrisse… Un libro letto insieme o che, nello scivolare da una mano all’altra, le fa toccare, è il segno di un’affinità ideale. Come per Paolo e Francesca il romanzo di Lancillotto fu la scintilla che accese la loro passione, così I Miserabili di Hugo fu il testimone, silenzioso e complice, del primo infuocato bacio di Alfredo e Laura e della loro promessa di eterno amore. “Le stelle stavano… a guardare”, commenta, con uno dei tanti riferimenti letterari, il narratore di questa nuova storia d’amore, il dott. Ignazio La Spina. Ma nel suo Il merlo della buganvillea il destino, come talvolta accade, è avverso ai due amanti. “L’amore di Laura e Alfredo, che essi coltivavano sin dalla fanciullezza, avrebbe dato loro una vita felice, ma il tempo e le circostanze non furono a loro favore.” Gli studi in seminario di lui e il matrimonio di lei, precoce e ‘combinato’, come si usava nella Sicilia degli inizi del secolo scorso, fecero si che essi non furono mai liberi di amarsi e non poterono essere mai felici: quando Alfredo ebbe il coraggio di abbandonare il seminario, dove era entrato per poter studiare, gli studi a quel tempo erano costosi, trovò che Laura, la fanciulla amica delle sorelle, che aveva conosciuto nei suoi soggiorni a casa e che era pari all’ideale di donna che egli aveva vagheggiato, era già sposata e, per il colmo, con un suo caro amico, Enrico. Nasce così un amore sotterraneo, clandestino, ma che spiace definire adulterino, perché tale lo hanno reso solo le assurde e autoritarie convezioni sociali dell’epoca. Noi conosciamo questo amore attraverso un epistolario segreto, il cuore del romanzo, e nelle lettere che gli amanti si scambiano, Laura invoca, con amara verità e ragione, Alfredo come il suo vero sposo ed Alfredo adora Laura come la sua unica dea.

Come ciascuno di noi, tutti gli amori sono unici e irripetibili, soprattutto in certe circostanze. Ma hanno pur sempre tratti comuni. Così l’Autore, stimato cardiologo, diventa un fisiologo dell’amore, quello che unisce, secondo la migliore tradizione classica e cristiana, non solo i bei corpi ma anche le belle anime. Amor, ch’al cor gentile ratto s’apprende,/prese costui de la bella persona… E nella fisiologia dell’amore rientrano le gioie, i desideri, le voglie, gli slanci, la dedizione alla persona amata, ma anche i dolori, le ansie, le ripicche, il senso di inadeguatezza e la gelosia. Ma quello di Alfredo e Laura non è solo un amore normale; esso, come scrive la donna all’amato, si dilata dolorosamente, diventa sofferenza e angoscia, tanto più è negato, proibito. Perché  deve contentarsi e vivere di sguardi furtivi, di vagheggiamenti da lontano, di “un’ombra animata”, di incontri casuali e clandestini; deve sperimentare gli espedienti, le astuzie, far della chiesa del paese un possibile luogo d’incontro e, nella disperazione, deve uscire per strada, pur con lo strazio di percepire la gioia altrui, sperando di vedere il volto amato, come il Petrarca, “talor… cercando… quanto è possibile, in altrui la disïata… forma vera”. Ma l’amore non può essere solo vagheggiamento e, talvolta, dalla casta pagina affiorano la passione, la sensualità, accenni discreti al godimento fisico, che restituiscono quell’amore alla vita.

L’Autore impreziosisce il suo racconto con un corredo di richiami letterari, Dante, Santa Caterina, Leopardi, e a canzoni dell’epoca, ma come ogni scrittore siciliano non può esimersi dal dare uno sguardo al contesto storico e sociale. Alfredo e Laura vivono in un’epoca di progresso, anche se la belle époque farà da festoso preludio alla Grande Guerra, cui deve prendere parte anche Alfredo. Ma la Sicilia, pur partecipe del progresso, resta indietro, soprattutto dal punto di vista sociale, prigioniera di una mentalità e di usanze arcaiche, di strutture e convenzioni sociali antiquate. E Alfredo in alcune sue lettere si scaglia contro il ‘piccolo mondo’ paesano, che usa la morale come un’arma, che è contro la libertà individuale, che è grettamente classista ed invidioso della felicità altrui.

Ma è proprio degli scrittori siciliani anche ampliare i propri orizzonti e, retaggio antico della nostra terra, dare un senso universale e non transeunte alle cose isolane, che spesso si presentano nella forma del paradosso. La storia di Alfredo e Laura ci pone queste domande: può una felicità, per di più inopinatamente raggiunta, generare un’infelicità più grande? Si può amare ed essere riamati e per questo arrecare, a se stesso e all’altro, dolore e sofferenza? E’ possibile  risolvere questo ‘paradosso d’amore’? L’Autore ci offre una traccia. Dalle vicende del ‘piccolo mondo’ dovremmo forse sollevarci alla consapevolezza che “agli uomini è preclusa la felicità posta miticamente in zone inaccessibili”. Se non accettiamo questo limite, il prezzo è quello di vivere in una gabbia d’angoscia. Ma come per il merlo della buganvillea, è un torto contro la natura far “vivere in gabbia un essere nato per volare”. L’amore è una passione tale che tutto può sottomettere, anche la ragione, ma come ogni cosa del mondo deve riconoscere un limite, anche la dolorosa rinuncia, se non vuole trasformarsi in una terribile prigione dell’anima, dalla quale, come il merlo, è bene evadere. Un’altra passione forte, il desiderio della libertà interiore, può aiutarci, ma non tutti si è capaci a farlo: occorre un vigoroso senso della misura e dell’equilibrio. D’altra parte nessuno in nome di una morale o di convenzioni sociali retrive accusi, disprezzi o ostacoli l’amore: esso, come ci insegna anche il volo del merlo in  cerca della sua compagna, è un dono della natura, è come un fiume perenne, che giunge sempre al mare, nel quale tutti potremmo trovarci all’improvviso immersi.

E’ necessario spendere alcune parole per i due protagonisti. Alfredo è un giovane ambizioso, volitivo, nemico dell’ingiustizie, dell’invidia e dell’ipocrisia, ma anche profondamente sensibile. Consapevole ed orgoglioso del proprio valore, egli cede alla forza dell’amore per Laura, la sua dea, ma ne rivendica sempre la purezza e la legittimità. All’inizio è egli il più deciso, rimproverando all’amata le sue incertezze ed esortandola a non tener conto delle maldicenze dei paesani, ma poi subentra in lui, con tutto il suo peso, la coscienza di essere su una via cieca. La forte amicizia che lo lega al marito di Laura, con cui condivide anche la militanza politica, acquista in lui sempre più il senso di una fides che non può essere violata. Allo stesso tempo, perché l’amore è anche un fatto umano, troppo umano, Alfredo sente che, convivendo con il marito, “quella dea che aveva messo sugli altari era profanata” e non esercita più su di lui il potere di un tempo. Commenta l’Autore che Alfredo dalla vita ebbe tutto tranne l’amore e “il suo cuore non si appagò mai, svanito il sogno di vivere con la donna amata”. Di Laura ciò che colpisce è la dedizione alla sua passione, alla quale ella sacrifica forse anche la vita. Perché costretta a vivere in un ambiente familiare e sociale ostile; con un marito che non ama più, ma con cui deve fingere di essere felice e di cui deve subire i desideri; priva anche degli interessi che tengono occupati gli uomini, senza quella passione allora la vita non ha più per lei alcun senso. Per questo, dapprima dubbiosa, è ella che alla fine non si rassegna al distacco di Alfredo, pur comprendendone i motivi, della mente e del corpo. Ma mai dalla sua penna esce un rimprovero al padre che l’ha sposata ad Enrico, anzi solo parole d’affetto. Sensibile come la Didone virgiliana, quis fallere possit amantem?, a noi non piace vederla morire in triste letto d’ospedale ma come la Laura del Petrarca “non come fiamma che per forza è spenta,/ma che per sé medesma si consume,/… a guisa di un soave e chiaro lume/cui nutrimento a poco a poco manca…/Pallida no, ma più che neve bianca/ che senza vento in un bel colle fiocchi…

Un bel libro è insomma Il merlo della buganvillea. Una storia appassionante ed esemplare, una scrittura chiara ma preziosa. Arricchisce il testo una documentazione iconografica, che non ha una funzione decorativa ma fa da commento alla narrazione, illustrandoci i luoghi, il contesto, gli atteggiamenti dell’epoca. Tutto ciò rende il libro, insieme all’eleganza e alla piacevole leggibilità della veste grafica, anche un bel prodotto editoriale.

Salvatore Daniele

Ignazio La Spina Il merlo della buganvillea A&B EDITRICE, Acireale-Roma, 2010

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