I nostri muri sono imbrattati da scritte più o meno pericolose che si rifanno a ideologie contrapposte, ma anche a mode incredibilmente fastidiose e dannose per il nostro patrimonio architettonico ed artistico.
Ve ne sono alcune che sembrerebbero essere sgradevoli, nonostante la “relativa” importanza storica che rivestono. E’ il caso delle iscrizioni murali del ventennio. Secondo molti, sono semplicemente delle testimonianze storiche giunte, nonostante le complicate vicissitudini post-belliche, fino ai giorni nostri; secondo altri, evidentemente, sono delle terribili, quanto pericolose, testimonianze contenenti messaggi subliminali dannosi per chiunque possa leggerli. Ovviamente ci scherziamo su, ma ci chiediamo se tali documenti storici siano meritevoli di attenzione da parte delle istituzioni, ma anche della collettività. In fondo fascismo, guerra, defascistizzazione, sono dei lontani ricordi. E’ passato tanto tempo dalla fine della guerra in Sicilia, 67 anni per l’esattezza.
Tali scritte sono state comunque, nel bene e nel male, testimoni di un periodo importantissimo per la comprensione del presente e del futuro. Se sono rimaste, non è certamente il frutto di un caso. Altrove, gli orrori della guerra civile hanno costretto la gente a cancellare quasi ogni traccia di quel regime: edifici pubblici, scritte murali, bassorilievi, statue, e quant’altro potesse fare riferimento a Mussolini e al fascismo. In Sicilia tutto ciò è successo con un tono minore, forse perché la guerra è durata relativamente poco, forse perché non c’è stata alcuna guerra civile, o forse perché qualcuno rimase attaccato a certe “tradizioni”. Può darsi anche che non interessava a nessuno il significato di frasi che, soprattutto in Sicilia, non trovarono mai una totale condivisione da parte del popolo (ad esempio: IL GRANDE PRODIGIO DELLA GUERRA E’ QUESTO: TUTTO IL POPOLO SI E’ RACCOLTO IN UNO SPIRITO SOLO, IN UNA VOLONTA’ SOLA – in un muro di Borrello).
A prescindere da queste considerazioni, oggi ci ritroviamo con un notevole “patrimonio” architettonico e artistico relativo al ventennio, ma anche con una grandissima quantità di iscrizioni murali, ereditati dagli eventi storici. Tali iscrizioni furono uno dei cardini della propaganda fascista; furono il mezzo per arrivare al popolo e per condizionarlo, soprattutto quello appartenente a fasce sociali più basse. Insomma, parrebbe che questi sopravvissuti di più di 70 anni, in alcuni casi anche più di 80, possano avere il diritto di ricevere attenzioni e cure, laddove possibile. Cancellare le prove di un regime, soprattutto dopo così tanto tempo, non è affatto “illuministico”. Si rischierebbe di fare lo stesso lavoro del vicerè Caracciolo, colui che fermò la macchina dell’Inquisizione in Sicilia. Questi fece distruggere tutte le prove del suo barbaro funzionamento. Di fatto da illuminista, quale doveva essere, si comportò da perfetto oscurantista. Cancellò le prove che avrebbero consentito alla ragione di trarne giovamento. Bene, oggi rischiamo di fare la stessa cosa. Tentiamo con tutti i mezzi di comprendere la storia, di capire il contesto in cui si svolsero certi avvenimenti, ma contemporaneamente cancelliamo le prove tangibili di essa.
A Catania e dintorni sono tantissimi gli edifici che recano simboli, bassorilievi ed iscrizioni murali del ventennio. Alcune sono sopravvissute clamorosamente, altre invece sono state altrettanto clamorosamente cancellate proprio negli ultimi anni. Vi sono dei veri e propri esempi, molto belli tra l’altro dal punto di vista della fattura, di perfetto futurismo; è il caso del portone ligneo dell’ex casa del Fascio di Adrano. Vi sono anche delle frasi che dovrebbero essere utilizzate proprio da monito per la popolazione, affinché certe cose non si ripetano; è il caso del “LAVORARE E TACERE” impresso su muro di un balcone di Nicolosi, o del “LA PATRIA SI SERVE IN SILENZIO”, sul muro di un edificio di Pedara, oppure ancora del “CREDERE OBBEDIRE COMBATTERE”, presente sul retro dell’abside di una chiesa di Viagrande e su un muro di Aci Sant’Antonio.
Vi sono anche dei fasci littori, ancora intatti, esposti su importanti opere pubbliche realizzate proprio durante il ventennio, o rare lapidi che ricordano “l’assedio” che subì l’Italia il 18 novembre del 1935, ad opera della Società delle Nazioni, per aver in pratica invaso l’Etiopia (esse sono presenti a Camporotondo, Mascalucia, Tremestieri Etneo, Motta Sant’Anastasia, ecc..). Insomma si tratta di testimonianze storiche il cui significato è da distillare rispetto a quel che il regime rappresentò negli anni duri della dittatura e della guerra. Gli insegnanti delle scuole dovrebbero spiegare ai loro alunni il significato di quelle cose, altrimenti visti come dei normalissimi e banalissimi “abbellimenti” urbani.
Peccato che negli ultimi anni sono scomparse alcune delle testimonianze di cui stiamo parlando, come ad esempio il bassorilievo che sormontava il portone d’ingresso delle case popolari di Piazza Stazzone. Fino a poco tempo fa si leggeva: I.F.A.C.P. (acronimo di Istituto Fascista Autonomo Case Popolari) – Plesso “Costanzo Ciano”. Era notevole il fatto che la lettera F dell’acronimo, nonché il “Costanzo Ciano” erano divelti per effetto della defascistizzazione. In pratica una prova, forse l’unica così tangibile, presente a Catania. Recenti restauri l’hanno rimossa e coperta di nuovo intonaco. A Bronte invece sull’Ex casa del Fascio hanno restaurato una cornice recante due fasci accostati e una frase di Mussolini. I restauratori hanno ritenuto opportuno rimuovere la firma, come se questa potesse, dopo così tanto tempo, rappresentare una minaccia per un paese che l’ha vista per almeno 70 anni.
C’è poco altro da aggiungere, forse le prove del fascismo fanno ancora male, o forse siamo troppo ignoranti per saper leggere la storia attraverso libri aperti presenti nelle nostre città.
(font: Catania Politica – Agatino Reitano, 08 settembre 2010)