Carricante, l’ex gregario ora principe dei Bianchi

MITO E REALTÀ DI UN UMILE VITIGNO.

I bianchi dell’Etna? Vedi alla voce Carricante. Che nell’espressione originale si pronuncia con la erre arrotata e va scritto sempre con la “c” maiuscola (C). Anche perché costanti e maiuscole sono, da qualche lustro a questa parte, le sue performance, ed è ormai un nome che identifica e richiama subito il Bianco Dop dell’Etna. Il Carricante è un vitigno autoctono, ovviamente, tanto antico da non consentire un rilascio attendibile di uno stato di famiglia. Di certo c’è solo il nome ma non la data di nascita né la paternità. È stato battezzato “Carricante” a Viagrande, un paesino alle pendici dell’Etna, diverse centinaia d’anni fa, dai viticoltori che lo hanno selezionato, adottato e così chiamato, proprio per la sua indole a prodursi copiosamente. Perché carricava, con due erre come la pronunzia dialettale reclama, celermente e in abbondanza, i carri dei trasportatori. Qualcuno dice che il Carricante sarà presto celebrato come il “vitigno principe dei bianchi siciliani”. Sembra un’iperbole, alla luce del suo passato ampelografico di umile gregario, un vitigno dagli acini piccoli e fragili, per vini acidi ma corti, in bocca e nel tempo, e così scadenti che in passato si trovavano spesso sulle tavole delle putìe, a consolar appena i personaggi vinti dei migliori romanzi del Verga. Oggi è lui, il Carricante, il vincitore, un vino mattatore il cui prototipo può essere indicato nel Pietramarina, un Doc bianco dell’azienda Benanti nato nel 1991. Ebbe, ma non subito, effetti dirompenti. Come sinfonia di un mondo nuovo. Perché di lì a poco gli echi attirarono nuovi colonizzatori, l’enologia d’avanguardia spazzò il vino del contadino e la viticoltura etnea sposò i protocolli che oggi caratterizzano il terzo millennio. Per esplicitare i segni di questa new wave, ci viene incontro il paradigma di cinque bianchi singolari e, al tempo stesso, variegati, tanto diversi tra loro che di più non si potrebbe. Cinque tra i tanti, e tutti senza pretese di imitazioni ma desiderosi di eguagliare il Pietramarina. E dei cinque, quattro sono fresche e autentiche novità.
Le hanno firmate Alberto Graci con il Dop bianco che chiamerà Quota 600 come il suo premiatissimo rosso; Silvia Maestrelli e Federico Curtaz della Tenuta di Fessina che per il neonato hanno scelto, per nome, A Puddara; Francesca, Santi e Alessio Planeta presentano il loro Carricante, un Igp in purezza che non potrà esser un Dop per un paradossale cavillo burocratico. Sarà sugli scaffali tra poche settimane; Marco Nicolosi, l’ultimo rampollo della dinastia Nicolosi Asmundo dell’azienda Villagrande di Milo, ha sintetizzato studi e ricerche di papà Carlo, docente di enologia, corroborandoli con i consigli e gli input di Luigi Moio e con un pizzico della sua giovanile spregiudicatezza. Ne è venuto fuori un nuovo Dop bianco, il Legno di Conzo. Affiancherà lo storico Bianco dell’Etna Superiore ma distinguendosi da questo per struttura colore e aromi. Chiude il gruppo di questi fuggitivi, il Valcerasa di Alice Bonaccorsi, frutto di un sodalizio tutto al femminile con la 34enne friulana Marinka Polencic. Un matrimonio tra due anime più che gemelle, parallele e convergenti verso l’obiettivo di un vino dalla naturale evoluzione. Che non può non assomigliare alle loro essenze spirituali. Ammantate di una palpabile e raffinata eleganza. Tutta accreditata nel bicchiere.

(font: Vini di Sicilia – Alfonso S. Gurrera, 15 luglio 2010)

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