“Vino pulito”, lo pretende l’Ue

Un composto di zolfo e ossigeno che serve a prevenire l’ossidazione. Si trova naturalmente nei vini ma può essere anche aggiunto, entro certi limiti. Parliamo del solfito, l’anidride solforosa che spesso crea quel cerchio alla testa anche dopo qualche bicchiere. Riuscire ad averne poco o addirittura a farne a meno per un vino è una qualità. Gli antichi romani e anche gli olandesi che attraversavano l’oceano usavano questo composto, bruciandolo nelle botti, per conservare discretamente il vino durante i viaggi. Ma questa presenza dello zolfo può essere tollerata solo entro certi limiti. Lo scorso 25 novembre 2004, con l’entrata in vigore di un regolamento comunitario, è diventato obbligatorio segnalare la presenza di solfiti nel vino anche nei paesi dell’Unione europea: una regola presente già negli Stati uniti e in Australia.

Un’azienda piemontese, la Mirafiore & Fontanafredda, in collaborazione con Air Liquid, ha messo a punto per la prima volta un processo che intende eliminare i solfiti dal vino. Questi sono infatti pericolosi per i soggetti asmatici e per alcuni allergici (ad esempio all’aspirina).
L’Air Liquid, azienda che opera nel campo della produzione di gas industriali e medicali, ha realizzato un’applicazione che consente la refrigerazione e la protezione del pigiato in atmosfera priva di ossigeno, prima e durante il suo passaggio alla pressa/tino, permettendo di non aggiungere solfiti.
I vini biologici non sono necessariamente privi di solfiti: sono privi di solfiti aggiunti artificialmente. La novità normativa rende necessario aggiungere la dicitura “contiene solfiti” sull’etichetta o sulla retroetichetta, unitamente alle altre indicazioni richieste dalla legge vigente.
L’obbligo scatta quando il contenuto in SO2 (anidride solforosa) supera i 10 mg/litro. I limiti legali imposti dalla comunità europea sul contenuto finale di anidride solforosa nel vino sono tassativi e ben precisi, con massimi consentiti di 160 mg/litro per i vini rossi secchi e di 210 mg/litro per i vini bianchi. Oltre questo limite il prodotto non può essere messo in commercio.
Considerando che i solfiti sono composti organici presenti in natura e vengono prodotti anche dai lieviti durante la fermentazione può esistere un vino a zero solfiti? Anche in Sicilia (oltre al caso dell’azienda piemontese di cui sopra) qualcuno ha voluto vincere una scommessa contro una risposta che potrebbe sembrare ovvia. Si chiama il “Don Pasquale che non dà alla testa” ed è stato recentemente prodotto in duemila esemplari dell’etichetta di Marabino, che produce in contrada Buonivini nel Val di Noto: viene presentato proprio come vino senza solfiti.
Il Nero d’Avola, interamente biologico, recensito in un articolo di Simona Licandro pubblicato sul sito dell’Istituto della vite e del vino della regione Sicilia sarà in vendita, ma solo in Sicilia, già dal prossimo mese e sarà una delle pochissime Doc senza solfiti d’Italia.

La cantina Marabino, del gruppo Irservice , sorta nel 2002 si affaccia su 30 ettari di terreno coltivati secondo il metodo biologico dinamico. “Il progetto – racconta Messina nel testo della Licandro – è iniziato con l’idea di fare un vino al 100% naturale. La nostra produzione, già biologica, aveva bisogno di un ulteriore passo avanti: l’eliminazione dei solfiti. Inizialmente abbiamo collaborato con il professor Roberto Zironi dell’università di Udine. Poi lui ha dovuto abbandonare il progetto, che gli era stato affidato dalla Commissione europea di Bruxelles, ma noi siamo andati avanti con una sperimentazione su 50 quintali d’uva”. La produzione, di duemila bottiglie, ha avuto i risultati sperati. La vinificazione è avvenuta con lieviti indigeni e un breve affinamento in acciaio per cinque mesi. “Subito dopo, e senza filtrarlo o chiarificarlo, il vino è andato in bottiglia perché acquistasse maggiore stabilità”. Rimane da testare la longevità che dipenderà anche dall’attenzione alla conservazione: poi il passaggio alle altre etichette. Un risultato non da poco in una regione, la Sicilia che è la quarta in Italia per la produzione e l’esportazione di vini, ma in cui ancora oggi manca l’aggregazione. Il territorio si identifica con il prodotto: il vino di Pantelleria, Marsala, Monreale, Agrigento, Menfi, il vino del Barocco, il vino dell’Etna, il vino delle Eolie, di Piazza Armerina. Una diversità che è un valore e che non sarà un ostacolo ad una maggiore unione futura, se saprà essere coniugata ad una spinta delle aziende verso la produzione responsabile (vini più leggeri, meno alcolici) e della gente – soprattutto dei giovani – verso un consumo altrettanto responsabile e più consapevole.

Tra tanti produttori di vino abbiamo intervistato Salvo Foti, enologo dell’azienda agricola Benanti, un patrimonio di una famiglia e della Sicilia.
Alla fine dell’800 Giuseppe Benanti, nonno dell’attuale proprietario, avviò la produzione di vini in un antico podere del padre, a Viagrande (vicino Catania). Ventidue anni fa, nel 1988 Giuseppe Benanti riprende l’antica passione di famiglia, dando inizio ad una curata selezione dei terreni etnei con una spiccata vocazione alla vitivinicoltura e alla ricerca di particolari cloni di vitigni autoctoni e di nuove tecniche enologiche.
Salvo Foti raggiunto al telefono, alla domanda su quale possa essere il futuro di un vino senza solfiti risponde: “L’azienda nella produzione di vini si tiene già al di sotto di un terzo rispetto al limite ammesso per legge. Tuttavia, se è corretto mirare a ridurre la presenza dell’anidride solforosa, è importante anche considerare un altro rischio e cioè quello di sostituire questo elemento con uno di gran lunga peggiore. Inoltre le percentuali possono essere ridotte e se ne può tendenzialmente fare a meno nei vini sfumati e in quelli rossi, in altri l’anidride solforosa è comunque necessaria”.

(font: Quotidiano di Sicilia – Elisa Latella, 13 luglio 2010)

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