Confesso che anch’io provo fastidio quando ascolto o leggo un discorso, o un testo, scritto in un linguaggio elevato, farcito di termini e modi di dire eleganti e ricercati, soprattutto quando la cura della forma serve a nascondere l’insufficienza del contenuto. Ma provo altrettanto fastidio quando l’uso scorretto della lingua, farcita in questo caso di espressioni triviali, viene elevato a virtù, dietro lo scudo di detti come “dire pane al pane e vino al vino”. Ritengo che uno dei mali del nostro Paese, male purtroppo antico, sia l’eccessiva distanza, un abisso quasi, che separa una minoranza che usa un linguaggio troppo colto (non importa se ormai l’ inglesorum ha preso il posto del latinorum, perché non so cosa sia peggio) da una parte estesa della popolazione (paradossalmente ora anche giovanile) che comprende con sforzo il linguaggio ordinario, normale, e di conseguenza i relativi concetti, che usa linguaggi inadeguati e poveri di significati, che diffida di chi ‘parla bene’. Talvolta ha ragione. Sono sconcertato quando persone colte usano fra di loro con disinvoltura il termine ‘teorema’ col significato di ‘convinzione prodotta da un pregiudizio e non giustificata da nessuna prova’, mentre nel linguaggio normale ‘teorema’ è una convinzione dimostrata, cioè giustificata al massimo livello, o quando per indicare un cambiamento radicale si usa l’espressione ‘svolta a 360 gradi’, cioè in realtà ‘tornare al punto di partenza avendo compiuto il giro di una circonferenza’. Perché il linguaggio colto può essere usato come un’arma e spesso la gente è passiva, poco critica, troppo recettiva, perché non capisce. Che fare allora? Io credo che dovremmo tutti sforzarci (perché non è facile) ad imparare e parlare il linguaggio ordinario con la sua sufficiente ricchezza e precisione concettuale, senza ambire a volare troppo in alto, ma senza precipitare in basso. Nella nostra scuola la materia fondamentale dovrebbe essere l’ITALIANO ordinario, normale. Questo era uno degli obiettivi di un grande lombardo di più di un secolo fa, Alessandro Manzoni.
Salvatore Daniele
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